quando le regole?

Fake news, rimedi soft: ‘Facebook e Google avevano alleati potenti tra gli esperti Ue’

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Secondo due membri del gruppo di esperti, che hanno scritto il codice di buona condotta contro le fake news, “Facebook e Google avevano alleati potenti al tavolo" e hanno utilizzato il loro potere finanziario e i loro legami per diluire le nuove regole. Uno degli esperti: "Le regole? Una schifezza totale".

Sembrava tutto troppo bello: una serie di regole adottate dall’Ue per contrastare la disinformazione online, anche in vista delle elezioni europee, e attribuire la responsabilità “oggettiva” delle fake news alle piattaforme digitali che le veicolano, quindi Facebook, Google e Twitter.

Invece ad oggi abbiamo solo un codice di buone pratiche dell’Ue sulla disinformazione. Che può essere rispettato su base volontaria, anche se firmato dai tre giganti del web sopracitati. Parliamo di autoregolazione seguendo standard comuni. Nulla più. Non l’approvazione di nuove leggi che obbligano i social network a mettere in atto soluzioni efficaci per porre fine alle fake news, che, ricordiamo, sono tra i contenuti più virali e condivisi sul web e per questo generatori di traffico.

“Facebook e Google hanno compromesso il lavoro del gruppo”

E, dunque, perché il gruppo di 39 esperti, selezionato dalla Commissione Ue, alla fine ha prodotto un report con pratiche “soft” per Facebook, Google e Twitter?

Perché Facebook e Google hanno “ricattato” e sfidato a “braccio di ferro” il gruppo di esperti, a rivelarlo sono stati due dei 39 membri i giornalisti di Investigate Europe: le rivelazionidelle fonti,in forma anonima, sono state da openDemocracy. Secondo le fonti, dunque, Facebook e Google avevano “alleati potenti al tavolo degli esperti” che hanno scritto il Codice di condotta per le piattaforme online, e hanno utilizzato il loro potere finanziario e i loro legami per diluire le nuove regole. “Hanno minato il lavoro del gruppo”, hanno riferito alcuni di questi esperti agli autori dell’inchiesta.

Tanto che, alla conclusione del codice di condotta, uno degli esperti che ha testimoniato sotto anonimato l’ha addirittura definito “una schifezza totale”, e una “foglia di fico”, si legge ancora nell’articolo.

La replica di Facebook: “Si tratta di un intenzionale travisamento di una discussione tecnica sul modo migliore per riunire un gruppo intersettoriale – fa sapere un portavoce del social – allo scopo di affrontare il problema delle notizie false. Riteniamo che siano stati compiuti progressi reali con il Codice di Condotta e siamo ansiosi di lavorare con le istituzioni europee per attuarlo”.

Qual è stato il tema che ha fatto scattare le pressioni di Facebook e Google?

Qual è stato il tema che ha fatto scattare le pressioni di Facebook e Google? “Le piattaforme si sono opposte alla proposta di rendere, obbligatoriamente, trasparenti i loro modelli di business, in questo modo il commissario europeo alla concorrenza avrebbe avuto modo di verificare una possibile correlazione con la diffusione della disinformazione”, ha dichiarato Monique Goyens, uno dei 39 esperti del gruppo.

E questa proposta ha fatto saltare il tavolo, hanno detto le due fonti, e spingere Richard Allan, di Facebook, (anche lui membro del gruppo così come alcuni dipendenti di Google e Twitter), a minacciare “l’interruzione del sostegno economico della sua società a progetti accademici e giornalistici”. Tra i 39 membri figuravano giornalisti e accademici che ricevono e/o hanno ricevuto fondi per progetti da Facebook e Google. Conflitto d’interesse? Il gabinetto della commissaria europea al digitale, Mariya Gabriel, ha dichiarato agli autori dell’inchiesta che “la selezione ha escluso i candidati che avrebbero avuto un conflitto d’interesse”.

La Commissione Ue insoddisfatta

Comunque, il 17 maggio scorso, la Commissione Ue, nel pubblicare le relazioni e le analisi di Facebook, Google e Twitter per la lotta contro la disinformazione, ha espresso la sua insoddisfazione sulle azioni intraprese da Google, Facebook e Twitter in vista delle elezioni europee.

“…Esse devono sforzarsi maggiormente per rafforzare l’integrità dei loro servizi, compresi quelli pubblicitari”, hanno dichiarato in una nota congiunta il vicepresidente responsabile per il Mercato unico digitale Andrus Ansip, la Commissaria responsabile per la Giustizia, i consumatori e la parità di genere Věra Jourová, il Commissario responsabile per l’unione della sicurezza Julian King e la Commissaria responsabile per l’Economia e la società digitali Mariya Gabriel.

“Inoltre”, continua la nota, “i dati forniti non sono ancora sufficientemente dettagliati per consentire una valutazione indipendente e accurata del modo in cui le strategie messe in atto dalle piattaforme hanno effettivamente contribuito a ridurre la diffusione della disinformazione nell’UE”.

Tutti e tre i firmatari hanno ora creato e reso pubblicamente accessibili apposite librerie nelle quali sono archiviati tutti gli annunci pubblicitari politici, permettendo così lo svolgimento di ricerche attraverso le API: si tratta di un netto miglioramento. “Ci rincresce tuttavia”, hanno aggiunto, “che Google e Twitter non siano stati in grado di elaborare e attuare politiche per l’identificazione e la comunicazione al pubblico dei cosiddetti annunci pubblicitari di sensibilizzazione, i quali possono dare luogo a dibattiti pubblici fortemente conflittuali durante le elezioni, favorendo la disinformazione”.

Dunque, un quasi nulla di fatto contro le fake news. E domenica si vota.

Se codice insoddisfacente, protrebbero scattare regole

Entro la fine del 2019 la Commissione effettuerà una valutazione globale del periodo iniziale di 12 mesi del codice di condotta di buone pratiche dell’Ue sulla disinformazione. “Qualora i risultati si rivelassero insoddisfacenti”, fa sapere la Commissione, “potrebbe proporre ulteriori misure, anche di natura regolamentare”. Ecco l’unica soluzione possibile. Non far decidere a dipendenti di Facebook, Twitter, Google e ad alcuni esperti “alleati” dei giganti del web.