Datagate

Facebook, crolla la fiducia degli americani. Inizia la fuga dei pubblicitari

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Dopo le dichiarazioni dei grandi inserzionisti britannici dell’Isba, si diffonde la sfiducia verso l’impresa di Zuckerberg: il mercato pubblicitario è visto calare nei prossimi due anni e solo il 41% degli americani è disposto a dare credito alla rete sociale più grande del mondo.

Il giorno dopo l’annuncio dello scandalo datagate che ha visto Facebook nella bufera mediatica mondiale, in molti tra gli inserzionisti pubblicitari del social network, hanno dichiarato la propria disponibilità a cambiare piattaforma.

È successo in Gran Bretagna, alla riunione dell’ISBA del 22 marzo, associazione che raccoglie oltre 3.000 tra i maggiori inserzionisti britannici, con la richiesta a Mark Zuckerberg di una rapida ed esaustiva chiarificazione in merito ai fatti: “In mancanza di garanzie certe siamo disposti ad abbandonare Facebook per altre piattaforme più solide in tema di privacy e tutela dei dati personali”.

È chiaro che gli advertisers siano preoccupati, il pericolo di un abbandono di Facebook da parte degli utenti, o semplicemente di un minor utilizzo o di un cambio di utilizzo, è un esito che va a penalizzare il mercato pubblicitario nel suo complesso.

A minacciare l’abbandono di Facebook sono in molti, secondo il Wall Street Journal, i primi nomi fatti sono quelli di Commerzbank e Mozilla (che sospenderà le pubblicità relative a Facebook da Firefox). Stando a quanto riportato dalla BBC, David Kershaw, a capo del colosso M&C Saatch, ha dichiarato: “Quando è troppo e troppo!”.

Certo, potrebbero essere solo voci e bastano queste a causare danni alla più grande rete sociale del mondo, che fino ad ora ha perso più di 75 miliardi di dollari alla Borsa di Wall Street, con una caduta della quotazione azionaria fino al 15% venerdì scorso (da 185,09 dollari a 159,30 dollari per azione).

E non è tutto, perché tornando al mercato pubblicitario, che ricordiamo essere controllato per la quasi totalità proprio da Facebook e Google (assieme raggiungono l’86% del mercato advertising globale), l’impresa di Zuckerberg potrebbe subire un duro colpo in termini di profitti: nel 2017 ha guadagnato 40,6 miliardi di dollari solo dall’advertising.

Secondo una proiezione eMarketer di marzo 2018, Facebook andrebbe a perdere quest’anno circa l’1,5% del mercato pubblicitario americano e un ulteriore 3,5% nel 2019. Se l’anno scorso il suo mercato pubblicitario negli Stati Uniti era del 19,9%, quest’anno dovrebbe scendere al 19,6% e al 19,2% nel 2019 (nel 2020 dovrebbe rimanere sostanzialmente stabile al 19,3%).

Chi potrebbe avvantaggiarsene? Non certo Google, che ad esempio negli Stati Uniti è visto perdere progressivamente quote di mercato (dal 40,1% del 2016 al 37,2% del 2019). Molto probabilmente Amazon.

Sempre secondo stime eMarketer, il gigante del retail mondiale, che oggi possiede il 2,7% delle quote del mercato pubblicitario USA, potrebbe salire quasi al 5% entro il 2020, mentre Snapchat quest’anno crescerà dell’1%.

Tutte proiezioni del mercato advertising calcolate prima dello scandalo Cambridge Analytica. Dati che quindi dovranno essere rivalutati nelle prossime settimane e mesi, in attesa di seguire gli sviluppi di una faccenda tutt’altro che chiusa e dai risvolti sicuramente critici per Facebook.

C’è da dire che da una piattaforma così grande e così popolata non è facile andarsene.

Tutti sanno che Facebook ha ancora le spalle grosse e il suo mercato è ancora una prateria su cui correre per fare enormi guadagni.

Certo è che altri competitor potrebbero gettare benzina sul fuoco e raccogliere i primi esuli, avvantaggiandosi dal punto di vista del mercato advertising.

In un sondaggio diffuso domenica da Reuters e Ipsos, solo il 41% degli americani si fida di Facebook riguardo il rispetto delle leggi sulla privacy e la protezione dei dati personali, contro il 66% che invece si fida di Amazon, il 62% di Google, il 60% di Microsoft e il 47% di Yahoo!.

L’indagine, infine, riportava che il 47% degli americani pretende un ristringimento delle leggi sulla privacy, contro un 17% che invece vorrebbe un ulteriore alleggerimento delle stesse.

Interessante notare come il 63% degli intervistati non gradisce le pubblicità personalizzate e mirate (targeted ads), mentre il 41% preferisce addirittura quelle più tradizionali.