Il caso

eJournalism. Per Reporters sans Frontières in Italia scarsa libertà di stampa. Ma è vero? 

di Redazione |

La classifica stilata da Reporters sans Frontières che piazza l’Italia al 73° posto dopo Senegal e Moldavia sta infiammando il dibattito. Il botta e risposta tra Pierluigi Battista del Corriere della Sera e Mimmo Càndito della sezione italiana RsF.

Pochi giorni fa Reporter senza Frontiere ha pubblicato il suo consueto indice annuale sulla libertà di stampa. L’Italia non ne esce benissimo, anzi: 73esima, prima di Nicaragua e Tanzania, dopo Senegal e Moldavia. La classifica è ormai nota tra addetti ai lavori e non, e ogni anno non manca di sollevare preoccupazioni e polemiche, che anche questa volta sono arrivate puntuali.

#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione).

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Riportiamo di seguito le posizioni espresse da Pierluigi Battista, del Corriere della Sera, e la replica affidata a Mimmo Càndito della sezione italiana di Reporters sans Frontières.

eJournalism-25Feb2015

Quell’irreale classifica della libertà di stampa”

(Particelle Elementari – PG Battista sul Corriere della Sera, 16 febbraio 2015)

E così, secondo la classifica annuale della libertà di stampa stilata da un’associazione denominata Reporter senza frontiere, in soli 365 giorni l’Italia sarebbe sprofondata al posto numero 73, retrocedendo in un solo anno di 24 posizioni per collocarsi dietro la Moldavia ma prima del Nicaragua. In un solo anno, mica tre o cinque: un anno drammatico in cui siamo praticamente diventati un ex Paese libero, e manco ce n’eravamo accorti.

Mentre invece, come tutti gli anni, questa classifica, la più bislacca, arbitraria, infondata e comica del mondo, viene considerata una cosa seria, citata dai commentatori seri, tutti pensosi sul miserevole stato della nostra sempre più asfittica libertà di stampa, certo non paragonabile allo splendore di quella del Belize, collocato luminosamente al 30° posto, del Ghana al 22°, del Botswana al 42°, del Salvador al 45°. Anche se non dovremmo stracciarci le vesti perché stiamo messi molto ma molto meglio di Panama, all’82°, per non parlare di quell’inferno del Montenegro al posto 114, giù giù fino al Turkmenistan, posto 178.

E che cosa sarà successo mai in Italia per scendere di 23 posizioni, alla velocità di circa due retrocessioni al mese?

Quante didascalie non veritiere, quanti articoli amputati, quanti titoli fallaci, quanti sommari truffaldini, quante cronache censurate avranno compulsato con la loro proverbiale acribia i giurati di Reporter senza frontiere, che nel frattempo, presi dall’alacre fervore della comparazione, avranno spulciato ogni articolo della Sierra Leone, ogni notiziario della Lettonia, ogni corsivo dell’Honduras per avere un quadro completo, esauriente, totale e onnicomprensivo come la coppia Bouvard e Pécuchet sbeffeggiati da Flaubert come enciclopedisti velleitari e dilettanti?

E poi chissà perché, quale cataclisma abbiamo vissuto, che disfatta censoria abbiamo sofferto per meritarci un solo anno quell’umiliante 73° posto.

Come se Enrico Letta e Matteo Renzi avessero detto agli editori: «Così non va eh. Vedete di sopprimere un po’ di libertà nei vostri giornali per fare meglio dell’epoca Berlusconi, in cui eravamo pur sempre sotto il Ghana ma riuscivamo ad avere più libertà di stampa del Madagascar».

Un quadro irreale, come se davvero in un solo anno, non si sa con quali misteriosi parametri, una Nazione in cui nel frattempo non ci sia stato un golpe cruento come il Cile del ‘73 crolla in una classifica. La più bislacca del mondo: non credeteci.

Perché l’Italia è 73.ma per la libertà di stampa

(Mimmo Càndito, sezione italiana di Reporters sans Frontières)

Il Corriere della Sera ha pubblicato una nota del suo vicedirettore, Pierluigi Battista, di irrisione per il giudizio fortemente negativo che Reporters Sans Frontières ha dato sulla libertà di stampa nel nostro paese (su quella classifica avevo pubblicato, ricorderete, un post qui qualche giorno). Ho chiesto al Corsera di pubblicare una nota in risposta all’intervento di Battista, e qui ne riporto il testo.

Nella sua colonna “Particelle elementari” (vd.Corriere del 16.2), Pigi Battista straccia con sarcasmo la classifica annuale di Reporters sans Frontières, che per il 2015 ha posto l’Italia al 73.mo posto. Egli qualifica questa classifica come “la più bislacca, arbitraria, infondata, e comica del mondo”, anche se però ammette, bontà sua, che in giro essa “viene considerata una cosa seria, citata da commentatori seri”. E’ certamente possibile che abbia ragione Battista, e torto tutti gli altri; ma la considerazione che Rsf riceve a livello mondiale dovrebbe far pensare che forse varrebbe usare un briciolo in meno, di sarcasmo e di disprezzo, e un briciolo in più di attenzione e di riflessione.

Come ogni classifica, anche questa ha certamente un valore relativo, se non per le dinamiche che permette di evidenziare e per lo spunto che offre alla segnalazione di variazioni statistiche significative per un giudizio fondato su dati di realtà. La classifica è costruita con l’utilizzo di 7 indicatori (trasparenza, autocensura, aggressioni, intervento del potere politico etc.) uguali per tutti i 180 paesi, e con l’aiuto di soggetti “locali” considerati credibili per la loro professionalità, la loro storia culturale, il loro ruolo sociale.

L’Italia al 73.mo posto?

Utilizzando anche i dati dell’osservatorio “Ossigeno per l’informazione”, si è ricavato che nel 2015 ci sono stati 506 giornalisti italiani “minacciati” per la loro attività: 47 hanno subito aggressioni fisiche, 139 avvertimenti mafiosi, 22 danneggiamenti, e ci sono state ben 276 denunce e azioni legali chiaramente strumentali per una intimidazione. Sono dati preoccupanti, che sfuggono talora, perdute nelle cronache d’ogni giorno, ma che, poi, nel consuntivo globale della somma di fine anno denunciano una dimensione molto grave, inusuale certamente in tutti gli altri paesi europei (dove la criminalità organizzata ha un peso relativamente diverso). Si aggiungano tutti gli episodi nei quali il potere politico e quello economico hanno usato la loro capacità d’intervento per condizionare il lavoro giornalistico, e si comprende come non possa che essere conseguente una valutazione negativa.

Ironia e sarcasmo sono certamente utili a riflettere con spirito critico in una definizione della realtà. E Pigi fornisce sempre sollecitazioni interessanti, anche quando non condivise. Siamo certi, tuttavia, che anch’egli abbia un giudizio critico sul nostro lavoro in Italia, lo stesso giudizio che poi ha spinto autorità credibili (dai presidenti della Repubblica fino al Pontefice) a invitare i giornalisti italiani a “tenere la schiena diritta”, perché evidentemente tanto dritta non appare. Quel 73.mo posto raccoglie anche queste sollecitazioni.

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