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eJournalism, nei giornali sempre più spazio ai contenuti sponsorizzati

di Redazione |

Dal New York Times al Corriere della Sera, sono sempre di più i giornali che danno spazio ai contenuti sponsorizzati. Destinato a cadere il muro tra giornalismo e pubblicità?

Il management del New York Times “continua a prendere cattive decisioni economiche. E sta rovinando un tesoro nazionale”. Così si esprimeva all’inizio di quest’anno Tom Foremsky, uno dei più ascoltati osservatori dell’editoria digitale, in un articolo su Memeburn. Foremsky giudicava sciagurata la decisione del giornale di ricorrere al native advertising, una forma di pubblicità che giudicava ‘’ingannevole’’, aggiungendo che, a suo parere, un suo uso esteso avrebbe ‘’accelerato il crollo del settore dei media’’.

#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione).

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La questione, come è evidente, non investe solo aspetti di carattere industriale ed economico, ma ha anche – anzi, soprattutto – una forte valenza culturale e sociale. Ed ha sollevato in questi mesi una accesa discussione anche nel mondo della professione giornalistica. Alimentata nuovamente dalla notizia secondo cui anche la CNN si starebbe strutturando per accogliere il ‘’native ad’’.

Il tema di una possibile caduta del ‘’muro’’ che finora ha separato pubblicità e informazione (quell’insieme di pratiche che al New York Times chiamano separazione fra ‘’Stato’’ e ‘’Chiesa’’) è al centro di una tesi con cui una studentessa, Barbara Zippo, si è laureata in Comunicazione all’Università di Padova qualche settimana fa (relatore il professor Raffaele Fiengo) e che qui pubblichiamo.

‘’Il meccanismo di raccolta delle informazioni e delle inserzioni pubblicitarie sta mutando in un processo osmotico, dove si deve necessariamente realizzare una contaminazione fra le une e le altre e fra di esse e gli utenti finali’’.

La tesi – “Tempi liberi del Corriere della Sera. Sulle ali dell’informazione del fine settimana, alla conquista di un’identità di marchio nell’ecosistema digitale odierno’’ – parte da qui.

‘’Dopo una fase di disorientamento e accesi dibattiti per difendere ragioni storiche e ideologiche, sembra ormai chiaro, oltre che necessario, anche alla stampa italiana, che i produttori di informazione, sono chiamati anche al confezionamento e alla promozione del loro prodotto editoriale in tutte le forme che oggi l’utenza complessiva (investitori e utenti finali) richiede.

La tesi, come spiega l’autrice, cerca di analizzare quello che sta diventando un problema-chiave del giornalismo contemporaneo: da un lato un insieme di codici – sedimentati come cultura diffusa e profonda – che impongono al giornalista un forte ‘’rigore nel fare informazione, dall’ altro la necessità di comprendere e includere nuovi modi di produrla, per ampliare il proprio raggio d’ azione all’ ambito pubblico, in veste di marchio, per esempio, attraverso pagine di costume società e stile di vita pubblicate dai quotidiani nel fine settimana’’.

 

Ma ecco come Barbara Zippo presenta e motiva il suo lavoro.

Nuovi equilibri nell’impresa giornalistica

di Barbara Zippo

Nuovi equilibri nell’impresa giornalistica si giocano oggi attorno all’allargamento della notiziabilità, che si rapporta alla pressione crescente esercitata dal marketing nelle sue forme più evolute. Da un lato il giornalismo tradizionale si ritrae e si difende, innalzando il noto “muro” tra redazioni e comparti dedicati alla pubblicità. Dall’altro, la connessione ai social network, dà luogo a prodotti cartacei e non, che raggruppati sotto il grande ombrello del Lifestyle, permettono alle testate giornalistiche, in quanto marchi, di conservare e ampliare la loro influenza sulla società.

Tutto ciò è stato ben compreso dal quotidiano più autorevole del mondo e tradotto nel report: “Innovation”. Redattori ed esperti dei settori tradizionali e digitali del New York Times e referenti di testate concorrenti, hanno lavorato a lungo in sinergia per individuare limiti e chiusure interni al giornale, con la volontà di proporre soluzioni concrete, per collegare la redazione all’ecosistema digitale.

Il report del New York Times, del Marzo 2014, con una manovra non propriamente fortuita è arrivato su BuzzFeed e da lì al resto del mondo. A Pagina 62 si legge: (…) “Il primo passo, tuttavia, dovrebbe essere una spinta intenzionale ad abbandonare le attuali metafore di scelta – “Il Muro” e “Chiesa e Stato” – che intendono mantenere la divisione originaria (quella a cui si accenna sopra fra redazioni e sezioni dedicate alla pubblicità). Una maggiore collaborazione, ben fatta, non presenta alcun pericolo per i valori dell’indipendenza giornalistica”.

Alla luce delle collaborazioni di successo, fra comparti redazionali e di business, al New York Times si sostiene dunque, che la caduta del muro, sia, non solo inevitabile ma bensì auspicabile in tempi rapidi, per la salute e la longevità dell’impresa giornalistica.

Nel corso delle interazioni che hanno portato alla pubblicazione del documento, per altro, Jill Abramson, allora direttrice del New York Times, si espose in tal senso, dichiarandosi disponibile ad accogliere la pubblicità nativa, ma richiedendo che essa fosse chiaramente distinta dai contenuti redazionali. Per questa posizione netta e probabilmente non ben accetta, potrebbe aver addirittura pagato con il licenziamento.

Di pochi giorni fa è anche la notizia diffusa dalla Columbia Journalism Review, secondo la quale, anche l’autorevole rete televisiva britannica, CNN International, strutturerebbe la propria programmazione all’interno di una complessa rete di contenuti sponsorizzati. In proposito, il vicedirettore Mike McCarthy, rifiutandosi di argomentare sulle relazioni commerciali in corso, ha voluto ribadire che la rete si attiene al codice britannico sulle trasmissioni, in accordo al quale, gli standard editoriali, rispettati per la messa in onda delle notizie, vengono assicurati anche per i contenuti sponsorizzati. Una delle disposizioni del Codice, recita però che: “notiziari e programmi di attualità non possono essere sponsorizzati. Con l’obiettivo di garantire che i principi dell’indipendenza editoriale come: distinzione tra pubblicità e contenuto editoriale, trasparenza degli accordi commerciali e tutela dei consumatori, siano mantenuti.”

Ciò detto, CNN International, sembra aver interpretato liberamente il regolamento, inserendo sezioni sponsorizzate dedicate al lifestyle all’interno dei programmi di informazione e attualità. In sostanza, brand journalism e pubblicità nativa, ben accetti o meno, guadagnano spazio in ogni contesto informativo, veicolati soprattutto attraverso temi connessi al lifestyle.

Dinnanzi alla portata del fenomeno e al fatto che esso rappresenti oggettivamente una strada per la salvezza del giornalismo, dato il calo della pubblicità tradizionale, che dal 2000 in poi, non accenna a subire battute di arresto, anche le testate giornalistiche italiane riflettono e si riorganizzano.

Al Corriere della Sera è infatti in corso dal 2009, la pubblicazione di “Tempi Liberi,” così come Repubblica dedica pagine simili il sabato con “RCult”. Una operazione combinata fra giornalismo tradizionale e strategie di marketing, che si conferma, nel caso del Corriere, successo editoriale, secondo i più recenti dati di vendita in edicola.

Nelle pagine di Tempi Liberi, dedicate al lyfestyle e oggetto di analisi della tesi, riforma grafica e aperture su famiglie e singoli, iniziative strutturate per il digitale e interazione sui social network, permettono al giornale di monitorare stili di vita, abitudini degli italiani in generale e dei propri lettori in particolare.

Come negli USA, anche il marchio “Corriere della Sera”, invita i propri lettori a “supportare” uno stile di vita. Attraverso il confronto con la comunità, che risponde virtualmente (tramite forum e blog) e fisicamente, alle molteplici iniziative, spesso di grande spessore e ripercussione sociale, come quelle promosse dalla 27esima ora, l’impresa giornalistica amplia e consolida i propri orizzonti. Nato come blog al femminile del Corriere della Sera e vincitore del Premiolino 2014, 27esima ora è oggi firma autorevole del giornale e comparto trainante del digitale.