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Dumping: accordo Ue-Cina. Chiuso il dossier su Huawei e ZTE

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La commissione europea ha deciso di archiviare le accuse di dumping nei confronti dei vendor cinesi di infrastrutture tlc Huawei e ZTE e di rinunciare all'apertura di un'indagine  per presunti aiuti illegali di Pechino alle aziende del settore.

Dopo intense trattative e non poche polemiche, la Commissione europea e la Cina hanno chiuso con un accordo amichevole la disputa sui presunti aiuti di Stato di Pechino ai vendor di infrastrutture Huawei e ZTE.

Oggi, Bruxelles ha deciso di chiudere l’indagine anche in seguito all’incontro, il 18 ottobre, della EU-China Joint Committee, presieduta dal commissario Karel De Gucht e dal Ministro del Commercio cinese Gao Hucheng. Tra i temi al centro dell’incontro anche quello del presunto dumping operato dalle due società cinesi, che grazie all’aiuto economico del Governo di Pechino avrebbero potuto offrire i loro prodotti sotto costo producendo una distorsione del mercato (una pratica nota come ‘dumping’).

Tra i punti dell’accordo Ue-Cina, il monitoraggio dei mercati europeo e cinese delle infrastrutture da parte di un ente indipendente; la garanzia dell’accesso senza discriminazioni delle aziende europee agli enti di standardizzazione cinesi; il trattamento equo delle aziende che partecipano a ricerche e progetti di sviluppo pubblici.

Il caso aveva scatenato non poche polemiche, anche da parte dei vendor europei, preoccupati delle ripercussioni negative loro interessi commerciali in Cina.

De Gucht ha cavalcato a lungo la minaccia di aprire un’inchiesta formale per appurare se i fornitori cinesi di infrastrutture per le telecomunicazioni avessero o meno ricevuto aiuti dal loro governo.

Contro questa iniziativa unilaterale (sarebbe stata la prima volta che la Commissione avrebbe agito di proprio impulso, o ‘ex officio’, non in risposta a una denuncia da parte di un’azienda privata) si era schierata, tra gli altri, Ericsson, secondo cui “questo tipo di misure, prendendo di mira singole aziende, potrebbero creare una spirale negativa”.

 

Contrari anche diversi governi  – tra cui Germania, Regno Unito e Paesi Bassi – che difendevano le ricadute occupazionali della presenza di questa aziende nei loro Paesi. Favorevoli ad eventuali sanzioni sarebbero state invece Francia e Italia.