i regolamenti

Droni a scopo investigativo: le differenze tra Italia e USA

di Giovanni Battista Gallus, Avvocato, ISO 27001 Lead Auditor, Presidente del Circolo dei Giuristi Telematici, Fellow del Nexa Center e del Hermes Center |

A fronte del documento pubblicato la scorsa settimana dal DOJ sull'uso dei droni e le implicazioni sulla tutela della privacy, ecco le differenze tra la giurisdizione Italiana e quella Americana in materia.

L’uso dei droni per finalità investigative o di sorveglianza non è una novità. In Italia ci sono già stati svariati casi di utilizzo, ad esempio per operazioni di contrasto allo spaccio di droga, a Torino.

Secondo quanto riportato recentemente da DefenseNews, i droni militari del 28esimo stormo sono stati impiegati in attività di sorveglianza per G8 del 2009, e potrebbero essere utilizzati per attività di ‘crowd monitoring’, volando a quote tra i 17.000 e 19.000 piedi. Tra l’altro, è bene evidenziare che ai droni militari e ‘di polizia’ non si applica il Regolamento ENAC, che riguarda solo quelli civili.

A seguito del documento pubblicato venerdì dal DOJ (Dipartimento di Giustizia Americano) dove si chiariscono i limiti secondo i quali il governo può utilizzare i droni, è interessante confrontare i limiti tra regolamento Italiano e Americano.

Le linee guida del DOJ sottolineano come in determinati i casi sarebbe necessario un provvedimento autorizzativo, quando sussista una ‘reasonable expectation of privacy’ e, comunque, le riprese non possano mai essere utilizzate a finalità discriminatorie, o lesive del primo emendamento (che protegge la libertà di espressione). Le riprese per mezzo di droni devono essere valutate assieme ad altri metodi investigativi, e si deve optare per il sistema meno invasivo, sulla base delle concrete circostanze di fatto.

Dall’altro, in Italia la situazione è differente. Posto che non esistono (al momento) pronunce giurisprudenziali su riprese per mezzo di drone, ci si deve basare sulla giurisprudenza legata alle riprese ‘tradizionali’.

E, per quanto riguarda i luoghi pubblici, la Cassazione distingue tra le riprese effettuate al di fuori del procedimento (ad esempio perché fatte da privati, o da impianti di videosorveglianza), che possono essere prodotte in quanto ‘documenti’, dalle riprese effettuate direttamente dalle forze dell’ordine, durante l’indagine.

Anche queste, se riguardano ‘comportamenti non comunicativi’ e sono effettuate in luogo pubblico, sono considerate come dei mezzi di documentazione dell’attività d’indagine, senza bisogno di intervento del giudice, e potranno essere prodotte in giudizio, nel contraddittorio delle parti, quale ‘prova atipica’ e nei limiti dell’art. 189 c.p.p.

Il discorso è naturalmente diverso laddove si tratti di luoghi privati (non solo quelli rientranti nella nozione di domicilio). In questo caso occorre un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria.

In sintesi, è molto probabile che, allo stato attuale, si sia tentati di applicare questa giurisprudenza, formatasi sulle videoriprese tradizionali, senza percepire la ben maggiore intrusività di una ripresa per mezzo di drone, rispetto a un sistema ‘tradizionale’.