Donne e Burqa

Donne e Media, il Burqa contestato all’Opéra di Parigi

di Gabriella Cims, Promotrice Appello Donne e Media |

Donna si allontana dall’Opéra di Parigi perché non vuole levare il Burqa. E’ tempo che l’Europa parli con una voce unica sulle norme da rispettare.

Si chiude il sipario sulla Traviata. All’Opéra di Parigi si consuma un dramma nel dramma. Tra le prime file vi è una coppia di musulmani, turisti del Golfo in vacanza che per avere le ambite poltrone hanno acquistato i biglietti con prudente anticipo. Ma quel velo che copre il corpo e il volto della donna, lasciando solo una fessura per gli occhi, non passa inosservato alle telecamere interne che proiettano sui maxischermi il direttore, l’orchestra e la donna velata. La Francia l’11 aprile 2011 ha approvato la legge che nei luoghi pubblici vieta il burqa, velo integrale con una sorta di griglia di tessuto sul volto, e il niqab, una fessura lasciata sugli occhi. Per la verità la legge francese stabilisce che “nessuno può, nello spazio pubblico, portare una tenuta destinata a dissimulare il volto”. Sono infatti proibiti, insieme a veli integrali, i passamontagna, le maschere o qualsiasi altro accessorio o capo d’abbigliamento destinato a nascondere il viso. E’ dunque una questione di pubblica sicurezza, prima ancora che culturale e religiosa.

Il sipario cala sul primo atto e, prima che l’opera di Verdi ricominci, i coristi protestano dietro le quinte minacciando che manderanno a monte la rappresentazione, se la donna non si toglie il velo islamico che le copre tutto il volto tranne gli occhi.

I commenti sui quotidiani che riportano la notizia si moltiplicano.

L’opinione pubblica è divisa.

Alla coppia, va a parlare un dipendente del teatro, non la polizia che in teoria sarebbe stata legittimata ad intervenire, e spiega che per proseguire la serata a teatro la signora avrebbe dovuto scoprire il volto o, in alternativa, andar via. Il dialogo, va sottolineato, si è svolto solo con il marito perché alla donna musulmana è vietato parlare con uno sconosciuto.

Sembrerebbe la trama scritta da un fantasioso autore ma purtroppo è la realtà. Che strugge e fa interrogare.

Nell’epoca della comunicazione sociale globale ci risulta difficile comprendere diverse cose. Seppur in presenza del suo compagno, la donna non può rivolgere la parola all’inserviente del teatro. Perché questo annientamento della personalità, volto, corpo e parola, inflitto alle donne?

Queste giovani donne velate, usano gli smartphone o il computer? Utilizzano i social network come la stragrande maggioranza dell’umanità?

Capiterà loro di comunicare in qualche modo con contatti di rete, prima sconosciuti. Forse utilizzano un burqa del web ma quanto potrà resistere?

Qualcuno fa osservare che, quando si va in un paese straniero, è d’obbligo informarsi sulle norme e consuetudini per non incorrere in disagi. Questo sembra buon senso che se può valere per gli occidentali potrebbe essere altrettanto valido anche per le altre culture e religioni.

La Francia, nel 2011, è stato il primo Paese a introdurre il divieto del burqa, seguito subito dopo dal Belgio, dal comune di Barcellona e nel 2013 dal Canton Ticino, in Svizzera. Si parla di introdurre la stessa misura in Gran Bretagna e in Australia. Troppa frammentazione in Europa. Nel luglio scorso la Corte europea dei diritti umani ha respinto il ricorso di una giovane musulmana francese e ha stabilito che la Francia persegue un «obiettivo legittimo» e chi contravviene alla proibizione rischia un’ammenda di 150 euro e uno «stage di cittadinanza» per imparare i valori della République. Ma perché questa mancanza di una voce unica dall’Europa che invece dovrebbe stabilire i valori di cittadinanza europei cui far riferimento, oltre che indicarci i sacrifici economici e i compiti a casa per affrontare la crisi.

L’Italia, primo paese di frontiera, cogliendo l’opportunità della presidenza di turno del premier Matteo Renzi, metta sul tavolo una proposta concreta affinché dall’Europa si levi una voce unica sulle norme da rispettare su un questione così cruciale quale la pacifica convivenza delle diversità culturali e religiose.

Infine una riflessione, proprio sul valore della “reciprocità” nel diritto-dovere di rispettare ed essere rispettati. Se si pretende un qualche riguardo per la propria religione in un paese straniero si deve pur garantire altrettanto alle minoranze di religioni diverse in casa propria. Potrebbe essere la base di un nuovo dialogo su cui fondare anche le concessioni per l’apertura di moschee, oggi lasciate al libero arbitrio della giunta comunale di turno.

Alla fine la donna velata e il suo compagno hanno scelto di andar via, abbandonando il teatro.

“Sempre libera degg’io / Folleggiar di gioia in gioia”, cantava Violetta, la cortigiana protagonista dell’opera di Verdi. Ma poi avrebbe pagato caro il prezzo di quella libertà.

L’Appello Donne e Media e il quotidiano key4biz hanno promosso la prima riforma di genere per la RAI, la Tv pubblica che dal 2011 ha siglato i 13 impegni che l’Appello ha proposto per una rappresentazione delle donne plurale e non stereotitpata.

Il piano di riforme prevede anche un Codice deontologico valido per tutti i mezzi di comunicazione, oltre che per il servizio pubblico, ed un Organismo ad hoc volto al monitoraggio e controllo del rispetto delle norme nonché a promuovere la formazione di genere per le scuole, per giornalisti, autori televisivi, registi, pubblicitari. Infine, l’Appello chiede l’armonizzazione delle norme esistenti nei diversi paesi europei per uno “Standard Europero” nel comparto donne e media.

Aderisci all’Appello

Hanno firmato l’Appello