Pedopornografia online

Digital Crime. Lo sfruttamento sessuale del bambino virtuale

di Paolo Galdieri, Avvocato, Docente di Informatica giuridica, LUISS di Roma |

A quasi dieci anni dall’introduzione nel codice penale della norma che consente di punire la cessione, diffusione e detenzione di materiale pedopornografico virtuale rimangono forti perplessità su questa scelta.

A quasi dieci anni dall’introduzione nel codice penale della norma che consente di punire la cessione, diffusione e detenzione di materiale pedopornografico virtuale, art. 600 quater 1 c.p., rimangono profonde perplessità su tale scelta legislativa. La disposizione, infatti attribuisce rilevanza penale anche alle immagini che non vedono un coinvolgimento diretto del minore, e più precisamente, a fotomontaggi o ad immagini realizzate tramite artifici grafici.

La rubrica #DigitalCrime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale.
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Da un lato si sostiene che tale scelta sia stata dettata dall’esigenza di adeguarsi alla decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell’Unione Europea, che definisce pornografia infantile pure le immagini realistiche di un bambino inesistente e che ciò comunque consentirebbe di punire condotte prodromiche alla commissione di reati più gravi riconducibili al fenomeno della pedofilia.

Dall’altro continua ad osservarsi come le fattispecie delittuose aventi ad oggetto materiale pedo-pornografico virtuale siano prive di offensività, in quanto essendo il prodotto erotico realizzato senza l’effettiva utilizzazione di una persona minore d’età, mancherebbe sia la lesione del bene giuridico protetto (integrità psicofisica e sano ed adeguato sviluppo del minore), sia una sua effettiva esposizione al pericolo.

Un ragionamento attorno alla pornografia virtuale deve tener conto sicuramente di diversi fattori. Il primo è che sicuramente in rete gira diverso materiale pedopornografico e proliferano siti “dedicati” a tale tipo di immagini. Altro aspetto è che per disincentivare l’offerta del materiale pedopornografico  potrebbe essere utile reprimere la domanda.

A tal riguardo c’è chi osserva come la rilevanza penale della pornografia virtuale consenta di prevenire il cosiddetto Grooming effect, ovvero il potenziale criminogeno di tali immagini, che si ritiene siano utilizzate dai pedofili per sedurre o adescare minori. Così come permetterebbe di tutelare la dignità dei minori come gruppo, rispetto alla diffusione di materiale che enfatizzandone la sessualità in contesti particolari, rafforzi potenziali inclinazioni  dell’uomo. Si osserva inoltre come tale scelta favorisca il superamento delle difficoltà legate alla dimostrazione, in ambito processuale, della natura reale o artificiale dell’immagine prodotta mediante le moderne tecniche di elaborazione grafica. Tali argomenti, tuttavia, non eliminano del tutto le perplessità in ordine alla rilevanza penale della pedopornografia virtuale.

Le esigenze di semplificazione probatoria non possono giustificare l’incriminazione di condotte che, prescindendo totalmente da un rapporto di sfruttamento del minore, rappresentano delle forme (se pur moralmente riprovevoli) di estrinsecazione della libertà di espressione. Preoccupante in tal senso è la scelta dell’Unione Europea di inserire nella definizione di pornografia infantile (Decisione quadro 2004/68/GAI) anche il materiale che ritrae o rappresenta una persona reale che sembra essere un bambino. In questo caso, infatti, si indirizzerebbe verso la rilevanza penale di immagini riferite ad adulti senza alcun aggancio con la ratio della tutela del minore.

Anche le argomentazioni relative al “grooming effect” non sono pienamente convincenti, in quanto non scientificamente dimostrabili e inidonee da sole a fondare di per se un’ipotesi di responsabilità penale. Discutibile anche l’argomento secondo cui le condotte di diffusione, cessione o possesso di tale materiale possano reputarsi mezzi di alimentazione e di incremento della domanda e della produzione di materiale diverso da quello che ne è oggetto. Al contrario c’è chi osserva come il possesso di materiale pedo-pornografico virtuale possa servire ad appagare, incanalandoli verso condotte inoffensive, gli istinti sessuali pedofili genera, così evitando fenomeni di effettivo abuso sui minori.

È ancora presto per poter tracciare un bilancio dei risultati ottenuti attraverso l’applicazione di tale norma, poche sono, infatti, ad oggi le pronunce giurisprudenziali. Tra queste sicuramente merita di essere menzionata la decisione del Tribunale di Milano del 2010 che quantomeno traccia una precisa linea di demarcazione tra le immagini da ritenere penalmente rilevanti e quelle da considerarsi, sul piano giuridico, neutre.

Il Giudice precisa che “da una lettura costituzionalmente orientata della norma si evince infatti che essa non ha ad oggetto la mera tutela del buon costume, ma lo sviluppo fisico, psicologico, morale e sociale di minori reali, la cui immagine sia stata fittiziamente associata a contesti sessuali, debbono essere invece esclusi dal suo ambito applicativo disegni pornografici e cartoni animati che ritraggono bambini e adolescenti di fantasia, la cui detenzione a fini di commercio o distribuzione potrebbe al più integrare il delitto contro il buon costume di cui all’art. 528 c.p.”.