GIURISPRUDENZA

Digital Crime. Gli effetti della nuova disciplina sulla tenuità del fatto nei reati informatici

di Giulia Scalzo |

Entrato in vigore il D.Lgs 28/15.

Da qualche giorno è entrato in vigore il D.Lgs 28/15 che ha introdotto nel nostro ordinamento la speciale causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto”. L’art. 1 del Decreto, infatti, ha previsto che “nei reati  per  i  quali  e’  prevista   la  pena detentiva non superiore nel massimo a cinque  anni,  ovvero  la  pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena,  la  punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi  dell’articolo  133,  primo comma, l’offesa e’ di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”, collocando coerentemente tale nuova disposizione all’interno del codice penale, precisamente all’art. 131-bis, nel titolo inerente la “modificazione, applicazione ed esecuzione della pena”.

La rubrica #DigitalCrime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale.
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Le fattispecie che rientrano nel nuovo istituto sono molte e, tra le tante, figurano anche la maggior parte dei reati informatici, come ad es. la “detenzione di materiale pornografico”, l’“accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico”, il “danneggiamento di sistemi informatici o telematici” e la “frode informatica”. Vediamo, però, prima di tutto il meccanismo con cui opera questa clausola.

L’istituto, sicuramente di nuova applicazione per i procedimenti penali ordinari, non è nuovo nell’ordinamento. Troviamo, in effetti, la stessa disposizione, già da qualche anno, nella normativa in tema di processo minorile e di reati di competenza del giudice di pace, anche se in quest’ultimo caso, la tenuità del fatto viene classificata come una causa di improcedibilità.

In molti auspicavano una vera e propria depenalizzazione, scelta che stranamente non è stata condivisa dal legislatore. In effetti, l’offensività si correla inevitabilmente al fatto, con la conseguenza che sarebbe stato più logico escludere automaticamente la natura di reato a tutte quelle fattispecie in cui il bene giuridico tutelato non risulta particolarmente leso. L’ordinamento, invece, ha optato per l’introduzione di una causa di non punibilità, stabilendo, quindi, che alla realizzazione di un fatto costitutivo di reato e delle condizioni previste dalla norma, si inibisce l’applicazione della pena. Tale scelta è maturata dal fatto che, sebbene permangano antigiuridicità e colpevolezza, ragioni di pratica convenienza politico criminale conducono ad escludere l’applicazione della sanzione penale, esistendo altri interessi che verrebbero lesi dall’applicazione della pena nel caso concreto.

La norma sembra non convincere proprio in merito alla realizzazione del suo obiettivo principale – evitare che i cd. casi bagatellari arrivino a giudizio – esistendo, comunque, numerose fattispecie che, sebbene offendano i beni giuridici in modo particolarmente tenue, rimangono escluse dalla nuova disciplina in esame. Pensiamo ai casi molto frequenti di furti all’interno dei centri commerciali, in particolare quello di un soggetto che sottrae una maglietta staccando l’antitaccheggio. La fattispecie in esame configura senza dubbio un furto, aggravato dall’uso della violenza sulle cose, circostanza che nel nostro ordinamento si individua come “ad effetto speciale”. Data l’esiguibilità del danno si dovrebbe pensare ad una sicura applicazione della clausola di non punibilità qui analizzata. Tale soluzione, invece, viene negata proprio dall’art. 131-bis del D.Lgs 28/15, il quale stabilisce che “ai fini della determinazione della pena detentiva […] non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale”, con l’inevitabile conseguenza che anche il caso sicuramente poco offensivo sopra ipotizzato rimane escluso dall’impunità ora garantita.

Ulteriore scopo perseguito attraverso questo nuovo sistema è quello di alleggerire il carico giudiziario, specialmente quello delle Procure (cd. deflazione processuale), in modo da consentire ai Pubblici Ministeri di dedicarsi a casi più complessi, lo stesso per i giudici. A riguardo, questa nuova causa di non punibilità sembra dare un largo potere discrezionale al Giudice o all’Organo Inquirente. Non sfugge, infatti, come l’esame in merito alla particolare tenuità dell’offesa, che dipende, come sopra accennato, dalle modalità della condotta e dall’esiguità del danno, spetti totalmente all’Autorità Giudiziaria. Secondo molti questa discrezionalità potrebbe ledere l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, potendosi verificare un giudizio diverso per casi bagatellari della stessa specie. Questo però sembra un falso problema, in quanto è già compito primario dell’Autorità Giudiziaria quello di utilizzare i parametri dell’art. 133 c.p. per dosare la pena, sospenderne l’esecuzione o valutare la sussistenza delle esigenze cautelari, potere discrezionale sicuramente non inferiore di quello demandato dal nuovo Decreto qui in analisi.

Analizzati gli aspetti salienti della nuova normativa vediamo adesso gli effetti che la stessa produrrà all’interno della categoria dei reati informatici. Sembra incredibile ma anche fattispecie gravi come la detenzione di materiale pedopornografico o la frode informatica rientrano nell’applicazione della clausola del D.Lgs 28/15.

Il problema che si pone per questo gruppo di reati, ma che alla fine è comune all’intera gamma di fattispecie travolte da questa nuova normativa, è quello di comprendere il confine pratico che può rendere un reato astrattamente molto grave, come la distribuzione di materiale pedopornografico, minimamente offensivo del bene giuridico tutelato. Volendo immaginare alcuni possibili scenari, ad es. in tema di detenzione di materiale pedopornografico, potremmo azzardare una particolare tenuità nel caso in cui la quantità del materiale sia davvero esigua. Oppure, nel caso di frode informatica, la clausola potrebbe applicarsi nei casi in cui il profitto procurato risulta particolarmente scarso, quindi, il danno patrimoniale particolarmente esiguo.

C’è da chiedersi, invece, quale approccio metteranno in pratica le Autorità giudiziarie nei casi di accesso abusivo ad un sistema informatico o di intercettazione dei sistemi informatici, fattispecie queste ultime che mal si conciliano con eventuali ipotesi di particolare tenuità.

Altro nodo da sciogliere inerisce le persone offese dal reato, le quali, ovviamente, avranno sporto querela consapevoli che il danno a loro procurato non sia particolarmente tenue, e, invece, dovranno confrontarsi con una richiesta di archiviazione. Ci si chiede se le querele da oggi in poi non dovranno contenere una spiegazione che gioca d’anticipo a riguardo. Per non parlare poi di quanto tempo, energia e denaro saranno occupati dalla doppia notifica alla persona offesa e all’imputato, sempre nel caso in cui il Pubblico Ministero decida di voler procedere all’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto.

Le novità spaventano e affascinano e sarà l’esperienza a dare delle risposte in merito all’applicabilità concreta della nuova disciplina fin qui esaminata, la quale, altro non vuole, forse, che riaffermare il principio del buon senso.