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‘Ddaonline ancora sotto pressione’. Intervento di Luciano Daffarra (Partner Studio Legale C-Lex)

di Luciano Daffarra, Partner Studio Legale C-Lex |

Migliaia di nuove piattaforme godono ancora, quotidianamente, di un free ride sui propri comportamenti illeciti.

Il tema della responsabilità degli ISP è stato, e continua ad essere, dibattuto da parte di titolari dei diritti come pure dai sostenitori delle tesi degli stessi fornitori di connettività, in quanto al centro delle discussioni più accese vi è l’applicazione delle disposizioni sulla rimozione e sulla disabilitazione dell’accesso ai contenuti abusivamente immessi sulla rete, misure da attuarsi per il tramite del ricorso a strumenti giuridici di diverso genere, ma anche in esito delle c.d. Notice & Take Down.

Sul punto in argomento, già nel lontano 21 novembre 2003 la Commissione dell’Unione Europea aveva evidenziato che il recepimento della Direttiva sul Commercio Elettronico da parte di taluni Stati Membri comportasse “problemi riguardanti in particolare il recepimento delle disposizioni relative alla responsabilità giuridica degli intermediari Internet”.

 

Questa circostanza che, come noto, va a toccare in modo particolare l’attuale sistema volontario di collaborazione fra i proprietari dei contenuti e i fornitori di servizi online, ha determinato negli anni significativi problemi alla difesa del diritto d’autore  nel nostro Paese, che sono riconducibili ad un non infrequente atteggiamento di inerzia assunto da parte degli intermediari verso le richieste di rimozione dei contenuti illeciti, avendo i primi inteso avvalersi spesso del c.d. safe harbor per evitare di intraprendere iniziative volte quantomeno a ridurre l’impatto dell’illegalità sulle piattaforme Internet.

A tale riguardo, se prendiamo in considerazione le norme contenute negli artt. 14 – 17 del D.Lgs. 70/2003 di attuazione della Direttiva 2000/31/CE, noteremo che esse sono applicabili a tutti i prestatori di servizi, imponendo loro non solo comportamenti di collaborazione con l’autorità giudiziaria o con quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, competenti a fare cessare le violazioni commesse attraverso i suddetti intermediari, ma anche con i titolari dei diritti che hanno titolo a rendere noto agli ISP ogni comportamento che sia suscettibile di responsabilità da parte degli stessi e a pretendere che gli stessi si attivino per fare cessare tali comportamenti

A tale stregua, dottrina e giurisprudenza, hanno elaborato criteri interpretativi delle sopra indicate norme, giungendo a ravvisare, a certi condizioni, una figura di soggetto che assume il ruolo di “connivente” con gli uploader di contenuti abusivi, quella dell’hoster attivo. Questa nuova figura giuridica non costituisce una deroga, come potrebbe di acchito sembrare, al principio di non responsabilità dell’intermediario, poiché, trovandosi tale provider nella posizione di gestire, trattare ed indicizzare i patrimoni informativi immessi online da terzi, dà vita ad un vero e proprio trattamento di tali dati, che configura il nesso causale di responsabilità in capo all’ISP quando lo stesso, “effettivamente a conoscenza” dell’illiceità dei suddetti dati, ometta di rimuoverne il contenuto o di disabilitarne l’accesso.

Questa lettura della normativa interna italiana, già indebolita nel suo assetto iniziale di implementazione della Direttiva eCommerce, limitandosi a imporre un obbligo per i fornitori di servizi di informare le Autorità competenti circa le violazioni di cui essi abbiano consapevolezza, è stata di recente rafforzata da alcuni coraggiosi, seppure non definitivi, provvedimenti interinali del Tribunale di Torino secondo cui il fornitore dei servizi online che abbia munito la propria piattaforma con strumenti di Content ID, non può rifiutarsi di utilizzare lo stesso reference file in suo possesso al fine dell’identificazione degli ulteriori esemplari dei medesimi contenuti abusivi immessi in rete.

Lo stesso giudice ha soggiunto, in proposito, che l’ordine del giudice volto ad impedire un nuovo caricamento di uno stesso file su un sito web, non è assimilabile e non rientra nella categoria degli “obblighi generali di sorveglianza”, esclusi dall’azione dell’ISP in base all’art. 17 del D. Lgsl. 70/2003 ma costituisce un dovere del fornitore del servizio che è già a conoscenza dell’illecita presenza di detti contenuti sul sito web da esso amministrato, nella sua qualità di hosting provider attivo.

Va peraltro osservato che, le brevi riflessioni qui svolte circa la più recente elaborazione giudiziale dei criteri che informano la responsabilità dei service provider per le violazioni online, paiono essere – almeno per il momento – incapaci di generare un atteggiamento diverso e proattivo da parte dei primi nei confronti della tutela del diritto d’autore, il quale risulta ancor oggi sopraffatto dalle iniziative di condivisione e di messa a disposizione del pubblico di miliardi di files protetti, la cui enormità numerica in aumento esponenziale non sembra suscettibile di un vero ed efficace ridimensionamento, assumendo, di contro essa, il ruolo di motore vitale per la crescita di migliaia di nuove piattaforme che, quotidianamente, godono di un free ride sui propri comportamenti illeciti, il cui onere e costo fa capo solo ai creatori delle opere ed ai titolari degli inerenti diritti.