Gli studi

Covid-19 torna a crescere: nuove conferme su legame tra pandemia, clima e inquinamento

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Il livello di inquinamento dell’aria che respiriamo incide profondamente nel processo di diffusione del Covid-19 nel nostro Paese. Nuovi studi italiani del Cnr e della Sima, pubblicati su riviste scientifiche internazionali, confermano l’ipotesi: più si sforano i limiti massimi di polveri sottili in città, più accelera la diffusione del virus.

Qualità dell’aria, temperatura e condizioni meteorologiche possono influire fortemente sulla diffusione del Coronavirus. Giungono ulteriori conferme scientifiche sul legame esistente tra Covid-19 e inquinamento atmosferico, con l’aggiunta della variabile anomalie climatiche.

Cnr sul rapporto tra inquinamento e diffusione del virus

È quanto affermato dai ricercatori dell’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale del Consiglio nazionale delle ricerche (Imaa-Cnr) in un nuovo articolo pubblicato sulla rivista “Nature Research – Scientific Report”.

Lo studio si riferisce all’Italia e in particolare alle città di Milano, Firenze e alla provincia autonoma di Trento. L’ipotesi è che le aree urbane con scarsa qualità dell’aria e livelli elevati di inquinamento atmosferico possano rivelarsi territori di contagio.

Il documento conferma che “il Covid-19 si propaga più facilmente in ambienti umidi e freschi, in particolare con un maggior livello di inquinamento dell’aria”. Inoltre, è precisato, “i risultati dello studio non implicano necessariamente una relazione diretta causa-effetto tra il virus e fattori quali temperatura e umidità, ma, per esempio, che le condizioni climatiche potrebbero influenzare il comportamento umano, favorendo l’aggregazione in spazi chiusi”.

Rispetto ad altri studi simili, questo dell’Imaa-Cnr appare particolarmente rilevante, perché per la prima volta i parametri meteorologici e di qualità dell’aria sono stati correlati non con il numero di positivi giornalieri, variabile condizionata in modo non banale ad esempio dal numero di tamponi eseguiti, ma con il numero di malati ricoverati in terapia intensiva.

Le conferme della Sima

Nei giorni scorsi, come riportato da una notizia Agi, è stata pubblicata sulla rivista open-access “British Medical Journal” una nuova ricerca condotta da Sima, società di medicina ambientale, tesa a ribadire lo stretto rapporto esistente tra inquinamento atmosferico da polveri sottili (PM10 o PM2,5) e pandemia di Covid-19.

Abbiamo ottenuto la prova definitiva dell’interazione tra particolato atmosferico e virus quando siamo riusciti a isolare tracce di RNA virale in campioni provenienti dai filtri di raccolta del particolato atmosferico prelevati nella provincia di Bergamo durante l’ultima serie di picchi di sforamento di PM10 avvenuta a fine febbraio, quando le curve di contagio hanno avuto un’improvvisa accelerata facendoci precipitare nell’emergenza sanitaria culminata con il lockdown“, ha spiega il professor Leonardo Setti, docente di Biochimica Industriale all’Alma Mater di Bologna e membro del comitato scientifico Sima.

Durante l’inverno, in Pianura Padana, è possibile riscontrare anche per diversi giorni consecutivi più di 150.000 particelle per centimetro cubo, con un impatto sulla salute, anche in termini di mortalità evitabile, oramai acclarato dai rapporti annuali dell’Agenzia Europea per l’Ambiente”, ha dichiarato Gianluigi De Gennaro, professore di Chimica dell’Ambiente all’Università di Bari.

Pianura Padana troppo inquinata

La pianura padana in inverno è assimilabile ad un ambiente indoor con il soffitto di qualche decina di metri – ha aggiunto – dove in presenza di una grande circolazione virale le condizioni di stabilità atmosferica, il tasso di umidità e la scarsa ventilazione hanno di fatto aperto al Coronavirus delle vere e proprie autostrade“.

Sono quasi 200 i lavori scientifici che hanno citato i nostri studi, tra cui quello a firma del premio Nobel J. Molina“, ha commentato Leonardo Setti.

Tutti hanno confermato le nostre ipotesi mettendo in evidenza fenomeni di iperdiffusione (“superspread”) del Covid-19 in vari Paesi del mondo. Tanti colleghi – ha ricordato Setti – hanno osservato lo stesso fenomeno partendo da ipotesi diverse rafforzando ulteriormente il modello da noi proposto”.

“E’ importante sapere che queste accelerazioni della diffusione del virus le osserviamo quando le sorgenti naturali o le attività antropiche, legate al traffico e al riscaldamento domestico, cosi’ come le condizioni atmosferiche che riscontriamo tra gennaio e febbraio, portano a sforamenti ripetuti delle PM2,5 e PM10. Gli indici R0 passano da 2 a oltre 4 se gli sforamenti superano i 3-4 giorni consecutivi“.