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Covid-19 e inquinamento, nuovo studio sul ruolo dello smog nella diffusione del virus in Italia

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Report della Fondazione CMCC: evidenze di correlazione a breve termine tra l’esposizione a tre noti inquinanti atmosferici, PM2.5, PM10 e NO2 e i livelli d’incidenza, mortalità e letalità di Covid-19.

L’Italia fa da tempo i conti con una qualità dell’aria a dir poco scarsa, se non pessima. Da “Bel Paese” che eravamo, siamo diventati progressivamente una terra di discariche, più o meno abusive, di strade congestionate dal traffico e di città ormai al collasso, in tema di inquinamento e rifiuti.

Lo smog in Italia

Confrontate le concentrazioni medie annue delle polveri sottili (Pm10 e Pm2,5) e del biossido di azoto (NO2), negli ultimi cinque anni (2014-2018), con i rispettivi limiti suggeriti dall’Organizzazione mondiale della sanità, si legge nel Report “Mal’aria 2020 di Legambiente, solo il 15% delle città ha raggiunto un voto sufficiente in termini di aria “respirabile”.

Nell’85% dei casi, purtroppo, siamo ben al di sotto della sufficienza e parliamo di grandi città come Torino, Roma, Palermo e Milano.

In molti si sono chiesti nel tempo se c’è un legame tra inquinamento urbano e salute umana. E un legame c’è, stando allo studio di Greenpeace “Aria tossica”, visto che solo in Italia si hanno 56.000 morti l’anno proprio per lo smog, con un costo economico stimato attorno ai 61 miliardi di dollari.

Covid-19 e inquinamento

E il Covid-19? Fin da subito diverse ricerche italiane ed internazionali hanno indagato il possibile rapporto tra alcune fonti di inquinamento e la pandemia.

Un nuovo studio appena pubblicato e diretto dalla Fondazione CMCC mette in evidenza, ancora una volta, la potenziale correlazione a breve termine tra l’esposizione a tre noti inquinanti atmosferici, PM2.5, PM10 e NO2 e i livelli d’incidenza, mortalità e letalità di Covid-19.

In particolare, si sospetta da tempo una correlazione diretta tra particolato (PM2,5 e PM10) e Coronavirus. La possibilità che stanno valutando i ricercatori è che chi vive in aree urbane particolarmente inquinate possa contrarre più facilmente il virus e presentare i sintomi più gravi.

L’ipotesi rimane sempre la stessa: “gli inquinanti atmosferici possono agire da “traghettatori” di virus e perciò favorire e aumentare ulteriormente la diffusione della pandemia”.

Risultati Studio CMCC

I risultati dello studio condotto dalla Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), realizzata in collaborazione con l’Università del Salento e Istituto Superiore di Sanità (ISS): “fanno ipotizzare una correlazione (da moderata a robusta) tra il numero di giorni che superano i limiti annuali di concentrazione massima imposti per gli inquinanti atmosferici PM10, PM2.5 and NO2 , e i livelli d’incidenza, mortalità e letalità per COVID-19 rilevati in tutte le 107 aree territoriali prese in esame”, ha spiegato il professor Giovanni Aloisio, corresponding author dello studio ed anche membro del CMCC Strategic Board, Direttore del CMCC Supercomputing Center e Professore Ordinario presso l’Università del Salento

Una correlazione che appare meno forte (da debole a moderata) quando l’analisi viene ristretta alle quattro regioni del Nord Italia, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto, più duramente colpite dalla pandemia.

In generale, si legge nel comunicato che ha illustrato lo studio, “i livelli di PM10 e PM2.5 mostrano una più alta correlazione rispetto al diossido di azoto (NO2) con i parametri correlati alla diffusione del COVID-19 in Italia”.

Infine, i diversi livelli di PM10 sono stati ulteriormente analizzati e confrontati con la variazione del tasso d’incidenza di COVID-19 in tre aree del nord Italia, tra le più colpite dalla pandemia (Milano, Brescia e Bergamo) nel mese di marzo 2020.: “Tutte le aree mostrano un andamento temporale simile per le concentrazioni rilevate di PM10, ma una diversa variazione del tasso di incidenza di COVID-19, meno grave a Milano rispetto a Bergamo e Brescia”.