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Coronavirus: protezione civile, centralità dei dati e sanità digitale

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Questa pandemia ha dato una chiara indicazione: c’è bisogno di una riflessione urgente sulla validità dei modelli organizzativi che supportano i servizi sanitari.

La pandemia da Coronavirus ci offre lo spunto per fare alcune riflessioni su tre aspetti tra loro correlati da un evento critico e drammatico: una invasione virale silenziosa, assassina, globale; la protezione civile impegnata in una nuova ed imprevedibile missione (tutta da analizzare) in uno scenario caratterizzato dalla necessità di adottare il modello della centralità dei dati  che, per il futuro, saranno alla base del “governo” e della gestione degli eventi critici (e non solo) e che devono essere valutati nell’ambito del processo della “trasformazione digitale”.

Prima di fare alcune considerazioni generali (sotto il profilo teorico, metodologico ed operativo) desidero, come cittadino, ringraziare le istituzioni pubbliche, la protezione civile (tutto il sistema nazionale e territoriale), i medici, gli infermieri, le forze dell’ordine, tutti coloro che a vario titolo stanno operando per contrastare la diffusione del virus e tutti gli operatori privati che garantiscono e supportano i servizi essenziali per i cittadini.

Ringrazio quindi gli Italiani che, attenendosi “strettamente” alle regole dettate dalle pubbliche autorità, concretamente contribuiscono a ridurre e contenere l’epidemia e la pandemia. 

Coronavirus: cosa è? Cosa ha sconquassato?

Il Coronavirus è un contagio globale a livello mondiale che porta morte, malattia che lascia il segno; ha innescato un processo che “sconquassa” il sistema sociale ed economico ed ipoteca pesantemente il futuro delle nuove generazioni e delle comunità.

Per rispondere a “cosa è” il Coronavirus riprendiamo, testualmente, la definizione che ne da il sito del Ministero della Salute:

“I Coronavirus sono una vasta famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS).

Sono virus RNA a filamento positivo, con aspetto simile a una corona al microscopio elettronico. […] I Coronavirus sono stati identificati a metà degli anni ’60 e sono noti per infettare l’uomo ed alcuni animali (inclusi uccelli e mammiferi). Le cellule bersaglio primarie sono quelle epiteliali del tratto respiratorio e gastrointestinale. Ad oggi, sette Coronavirus hanno dimostrato di essere in grado di infettare l’uomo […] Un nuovo Coronavirus (nCoV) è un nuovo ceppo di coronavirus che non è stato precedentemente mai identificato nell’uomo. In particolare quello denominato SARS-CoV-2 (precedentemente 2019-nCoV), non è mai stato identificato prima di essere segnalato a Wuhan, Cina, a dicembre 2019 …]. La malattia provocata dal nuovo Coronavirus ha un nome: “COVID-19” (dove “CO” sta per corona, “VI” per virus, “D” per disease e “19” indica l’anno in cui si è manifestata). Lo ha annunciato, l’11 febbraio 2020, nel briefing con la stampa durante una pausa del Forum straordinario dedicato al virus, il Direttore generale dell’Oms …]”.

Dal testo si rileva che si tratta di un virus nuovo della famiglia Coronavirus (famiglia che conosciamo dagli anni sessanta) mai identificato prima e questo aspetto permette di avere una migliore percezione delle criticità non solo di carattere sanitario ma anche di carattere organizzativo ed economico della pandemia che stiamo vivendo.

Non intendiamo aprire una discussione sugli aspetti sanitari, ma intendiamo fare per il momento alcune considerazioni di carattere generale:

  1. le pandemie non possono interessare solo i medici, gli scienziati, ecc.: queste malattie devono essere oggetto di attenzione, di analisi, di interventi di tipo multidisciplinare e multisettoriale (medicina, biologia, genetica, ecc. ma anche economia, psicologia, sviluppo sociale, tecnologie medicali e cliniche, intelligenza artificiale, robotica, ecc.); queste malattie esprimono e generano “crisi” che portano il sistema sociale, oltre che il sistema di vita personale, in situazione di “squilibrio”, di “rottura”,  di “caos” che richiede un intervento poi complessivo per riportare il sistema sociale e personale allo stato di “omeostasi” (equilibrio);
  2. le pandemie richiedono nuovi modelli di “politica” e “governo” della sicurezza delle persone, della sanità, dei processi critici, della previsione, delle emergenze, degli interventi post-emergenza, delle ricostruzioni, della sostenibilità dello sviluppo, ecc.

c) le pandemie richiedono nuovi modelli di organizzazione della sanità e della protezione civile finalizzati ad affrontare gli eventi critici di qualsiasi tipo, ad introdurre metodologie e tecnologie per affrontare con un “approccio sistemico” tutti gli aspetti da prendere in esame.

Il fenomeno Coronavirus ha “sconquassato” il “sistema” con la necessità di rivedere molte cose nella sanità e nella protezione civile (strategie, approcci, modelli, organizzazione, il valore dei dati per la “politica”, il “governo” e la gestione).

La Protezione civile: oggi e domani

La “Protezione civile” nazionale italiana, che negli ultimi 30 anni ha raggiunto risultati di livello mondiale, si trova oggi ad operare in una “crisi” totalmente nuova, di natura diversa rispetto agli eventi critici che abbiamo vissuto in questi anni. Si tratta quindi di una nuova sfida che necessita quindi qualche riflessione sulle stesse funzioni della protezione civile. In questa circostanza ritengo utile, per alcune problematiche, una rilettura di alcuni articoli del Codice della Protezione civile (dlgs 1/2018) per utilizzare al meglio le regole che già abbiamo.

Partiamo dalla definizione del servizio nazionale della protezione civile (art. 1 del Codice):

“Il Servizio nazionale della Protezione civile, di seguito Servizio nazionale, definito di pubblica utilità, è il sistema che esercita la funzione di protezione civile costituita dall’insieme delle competenze e delle attività volte a tutelare la vita, l’integrità fisica, i beni, gli insediamenti, gli animali e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo………”.

La definizione porta a considerare la Protezione civile come un “sistema” ed un “insieme” di competenze e di attività che hanno lo scopo di garantire ed assicurare la più “ampia tutela” (della vita, della integrità fisica, i beni, gli insediamenti, gli animali e l’ambiente) rispetto ai danni o ai pericoli di danni rispetto a calamità di origine naturale o di origine “umana”.

Ci troviamo oggi (Coronavirus) quindi davanti a “danni/pericoli di danni” “naturali”. Per essere un “insieme” è necessario che la Protezione civile operi come un “sistema” nel quale tutte le parti devono interagire con l’unica funzione di base che è quello della tutela per affrontare “danni/pericoli di danni”. Operare come un sistema non è agevole: sono necessari modelli, metodologie, strumenti per operare come “insieme” e una forte cultura della protezione, della sicurezza, dell’operare nella logica di sistema. Il sistema della protezione civile si crea e sviluppa con politiche e risorse adeguate: non certo affidandosi alla capacità italica di affrontare situazioni critiche gravissime con poche risorse e con molta fantasia/genialità/spinti dalla logica della sfida. Nella protezione civile non può esistere il concetto di “provvisorio” o di “marginale”: la protezione civile è una funzione/struttura essenziale e centrale del Paese; la protezione civile non si attiva solo quando succede un evento critico ma anche nei periodi non critici (fase di previsione e di prevenzione e monitoraggio del sistema).

Per definire ancora meglio il concetto della protezione civile come “sistema” e “insieme” è necessario considerare le attività di protezione civile (art.2 Codice). Le attività sono quelle   volte   alla previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi, alla gestione delle emergenze e al loro superamento. Queste attività hanno specifiche peculiarità che devono essere pienamente definite ed attuate (in sinergia):

a) previsione: “La previsione consiste nell’insieme delle attività svolte anche con il concorso di soggetti dotati di competenza scientifica, tecnica e amministrativa, dirette all’identificazione e allo studio, anche dinamico, degli scenari di rischio possibili, per le esigenze di allertamento del Servizio nazionale, ove possibile, e   di pianificazione di protezione civile”.L’attività di previsione è certamente una attività di base e fondamentale per le altre attività previste dal Codice; si tratta di attività difficili da strutturare concretamente ed operativamente ma necessarie; per questa attività c’è molto da fare (non solo in Italia);

b) prevenzione: “La prevenzione consiste nell’insieme delle attività di natura strutturale e non strutturale, svolte anche in forma integrata, dirette a evitare o a ridurre la possibilità che si verifichino danni conseguenti a eventi calamitosi anche sulla base   delle conoscenze acquisite per effetto delle attività di previsione”.    Anche questa azione presenta particolari complessità e difficoltà; è strettamente correlata all’attività di previsione. Il Codice individua in modo dettagliato le attività di prevenzione non strutturale e strutturale. Questa attività richiederà certamente un’azione mirata ad articolare meglio i vari tipi di prevenzione, considerando che molto è stato già fatto.

c) gestione delle emergenze: in questa attività possiamo sostenere di avere una protezione civile rodata (rinvio alla definizione data dal Codice sulla emergenza);

d) superamento delle emergenze: anche in questa attività la nostra protezione civile ha raggiunto molti risultati particolarmente significativi (rinvio alla definizione di superamento delle emergenze data dal Codice).

Gli art. 3,4,5,6 del Codice definiscono il servizio nazionale della protezione civile, i componenti, le attribuzioni delle autorità territoriali. Il servizio presenta una forte articolazione a livello istituzionale, di organizzazione e di responsabilità diffusa. Il problema più serio da affrontare è quello del coordinamento fra le diverse componenti ed autorità e quindi organizzare in modo particolare il livello territoriale locale (il sindaco responsabile della protezione civile ed anche responsabile della salute degli abitanti della comunità locale). Il livello territoriale è ancora considerato “di fatto” come “marginale” nel sistema di protezione civile: quindi maggiore attenzione al livello locale non solo quando scoppiano le emergenze ma anche a livello di previsione, prevenzione e di monitoraggio.

L’art. 18 del Codice è dedicato alla pianificazione di protezione civile. Tutta la pianificazione deve basarsi su un sistema di dati (formati, gestiti, fruibili, accessibili, da conservare in modalità nativamente digitali) nel rispetto dei requisiti di completezza, aggiornamento, affidabilità, disponibilità, accessibilità telematica, sicurezza, trasparenza, tracciabilità, validità giuridica. Un sistema di dati che sia in grado di funzionare nel rispetto della integrazione e della interoperabilità delle basi di dati pubbliche e private di interesse del sistema della protezione civile.  Un sistema di questo tipo è tutto da costruire considerando tutto ciò che è funzionale ed operativo allo stato attuale.

La centralità dei dati digitali: verso nuovi modelli di protezione civile e di servizi sanitari

Il tema della centralità dei dati è fondamentale in questa pandemia, per la protezione civile, per l’organizzazione della sanità e per la crisi economica “scoppiata” in modo virulento, violento, drammatico (in questo caso epidemia da virus ed epidemia economica sono strettamente correlate). Il tema della centralità dei dati caratterizza la società contemporanea e la società italiana in particolare. Migliore è il dato (formato e gestito da una organizzazione) e migliore è la funzionalità di una pubblica amministrazione o di una azienda. Per essere “migliore” il dato oggi non può che essere solo nativamente digitale (superamento del sistema misto, pernicioso, dannoso, costoso, bloccante) ma deve fare parte di una organizzazione progettata e realizzata nel rispetto della semplificazione, della digitalizzazione dei processi amministrativi o aziendali, della tracciabilità dei dati/processi.

Fuori da questo approccio (Data driven (dati-guida) e dati digitali) i dati non servono, sono costosi, non sono utilizzabili a fini di governo, programmazione, direzione, gestione; innescano processi involutivi ad alto costo sociale. Il contesto delle burocrazie pubbliche (compreso le strutture sanitarie) non opera sulla base di dati digitali (e nel rispetto dei requisiti: aggiornati, completi, validi giuridicamente, affidabili, leggibili, accessibili telematicamente, sicuri, trasparenti, tracciabili, ecc.). Non c’è la cultura del dato come “risorsa informativa” necessaria ed indispensabile alle attività di programmazione, governo, direzione, gestione, monitoraggio.

La protezione civile, in questo contesto, trova la peggiore condizione possibile per operare con un approccio sistemico. L’attuale modello organizzativo sanitario (amministrazione e servizi sanitari) sicuramente non fa affidamento sulla risorsa dei dati come sopra indicato. E in una situazione di forte emergenza sanitaria il ruolo personale degli operatori sanitari diventa forte e centrale (preparazione, dedizione, impegno personale, ecc.) per supplire ad un modello organizzativo scarsamente (…per niente) orientato a trattare le emergenze. Questa pandemia ha dato una chiara indicazione: c’è bisogno di una riflessione urgente sulla validità dei modelli organizzativi che supportano i servizi sanitari. La discussione riguarderà come transitare verso un modello organizzativo di sanità digitale (sistema integrato di risorse informative, umane, economiche, tecnologiche).

Riprenderemo questi temi con un contributo su specifici aspetti sulla protezione civile e sulla sanità.