La sentenza

Concorrenza sleale, A. La Rosa (Studio Previti) ‘Illecito pubblicare abusivamente video di terzi per alimentare il proprio business pubblicitario’

di Alessandro La Rosa (Studio Previti) |

Un’attività consistente nell’uso non autorizzato di prodotti televisivi di terzi, finalizzata ad alimentare il proprio business pubblicitario e scollegata da attività strettamente giornalistica, integra gli estremi della concorrenza sleale parassitaria

Con sentenza n. 6944/2017 del 2.11.2017, la Corte di Appello di Roma –Sezione PI- ha integralmente rigettato l’appello proposto da Gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a. contro la sentenza del Tribunale delle Imprese di Roma (sentenza n. 18413/2016 del 5 ottobre 2016, già commentata qui) con cui erano state integralmente accolte le domande inibitorie (Euro 1.000,00 per ogni futura violazione) e risarcitorie (per circa Euro 250.000,00) di Reti Televisive Italiane s.p.a. (“RTI”, società del Gruppo Mediaset).

In particolare, la Corte di Appello di Roma ha stabilito che un’attività consistente nell’uso non autorizzato di prodotti televisivi di terzi, finalizzata ad alimentare il proprio business pubblicitario e del tutto scollegata da attività strettamente giornalistica, integra gli estremi della concorrenza sleale parassitaria che erode la fetta di inserzionisti potenzialmente interessati alla vendita di spazi pubblicitari collegati ai video del rightholder (“In tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile è dunque la comunanza della clientela, la cui sussistenza va verificata anche in una prospetti va potenziale, considerando se l’attività, nella sua dinamicità naturale, consenta di configurare l ‘esito del mercato fisiologico e prevedibile, sia sul piano temporale che geografico (Cass. 14/22332). Nel caso in esame, è indubbio che tale comunanza di clientela vada parametrata non già sul numero di “spettatori” dei rispettivi canali (televisivi o telematici), quanto piuttosto sulla fetta di inserzionisti potenzialmente interessati alla vendita di spazi pubblicitari collegati ai video pubblicati”).

Nuovamente la Corte d’Appello di Roma, nel solco di quanto già accertato dal primo giudice, ha chiarito che non possono essere invocate le scriminanti di cui agli articoli 70 e 65 LDA da chi pretenda di svolgere liberamente la propria attività d’impresa appropriandosi “indebitamente di prodotti altrui”: l’attività di Gruppo l’Espresso integra infatti “un’ipotesi di concorrenza sleale parassitaria idonea ad escludere di per sé l ‘applicazione della scriminante di cui ali ‘art. 70 LdA”. Così neppure potrà essere applicata la scriminante di cui all’art. 65 LDA laddove “la riproduzione del prodotto audiovisivo sia stata realizzata per prevalenti fini pubblicitari, come accaduto nel caso in esame, stante l ‘evidente collegamento tra la pubblicazione dei video di RTI e l’attività di vendita degli spazi pubblicitari ad essi connessi”.

Infine la Corte ha chiarito che “la nozione di attualità richiesta ai fini della scriminante (di cui all’art. 65 LDA ndr) viene, ancora una volta, necessariamente desunta dalla ratio della norma stessa, quale particolare declinazione dell’interesse pubblico all’informazione. Nel caso in esame e limitatamente ai video astrattamente qualificabili come “di informazione”, la loro pubblicazione dopo un considerevole lasso di tempo dalla loro prima pubblicazione, pur non identificandosi direttamente con la mancanza del carattere di attualità richiesto dalla scriminante, assurge tuttavia, date le richiamate caratteristiche del fatto, a principale parametro utilizzato dal Tribunale nell’effettuare il giudizio di valore relativo all’attualità dell’’ opera”.

Gruppo l’Espresso non potrà quindi continuare a pubblicare video estratti dai prodottoti televisivi di RTI: in nessun caso se trattasi di prodotti di intrattenimento e solo nei limiti della stretta applicazione della scriminante di cui all’art. 65 LDA per i video qualificabili come “di informazione”.