Analisi

Cittadini Attivi. Roma 2024: tutto quello che i numeri non dicono sulle Olimpiadi

di Maurizio Carmellini |

"In un mondo di scarsità di risorse, l’organizzazione delle Olimpiadi non è un volano: anzi, sottrae risorse a investimenti necessari per realizzare progetti con stime del tutto sballate, frutto di pianificazioni concitate ed avvenimenti mediatici studiati ad hoc"

Un gruppo attivo di cittadini che propone un modo diverso di raccontare la trasformazione della Pubblica Amministrazione. Sono le donne e gli uomini che hanno dato vita alla rubrica “Cittadini Attivi” su Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Il tormentone che imperversa da tempo sulla capitale, e di conseguenza nel Paese, è quello legato alle beghe elettorali, per lo più fra M5S e PD, dove politica e cittadini si dividono sulle motivazioni per cui sarebbe o non sarebbe giusto rinunciare alla candidatura olimpica. Al di là dei teatrini politici che hanno inflazionato questo evento, e del richiamo delle sirene dei vari progetti di promozione che “fanno bene al paese”, (ma fanno bene solo a qualcuno, a spese di tutti), preferisco analizzare la letteratura economica in merito, ovviamente estera.

La fonte principale ad avermi ispirato è un articolo pubblicato il 24 settembre scorso sul sito de “Il Sole 24 Ore” per la rubrica “Econopoly Categoria: Tasche Vostre” dal titolo “Olimpiadi, i numeri (tanti) dicono che è una vittoria da lasciar perdere”.

Navigando sulla rete, mi è saltato immediatamente all’occhio in quanto è l’unica analisi approfondita e apparentemente non influenzata da condizionamenti politici.

Com’è noto, ospitare le Olimpiadi è oneroso: per i soli costi legati allo sport si stimano cifre nell’ordine di miliardi di euro, budget tuttavia sistematicamente sforato (è di pochi giorni fa il grido di allarme della Governatrice di Tokio per le Olimpiadi del 2020), e spesso raddoppiato, se si includono anche le spese relative alle infrastrutture correlate (strade, aeroporti, etc).

Uno studio condotto nel 2016 dall’Università di Oxford [The Oxford Olympics Study 2016: Cost and Cost Overrun at the Games] compara i costi stimati ed i costi effettivi. Da questa analisi emerge che, se si considerano tutte le edizioni delle Olimpiadi, invernali ed estive nell’arco temporale 1960 – 2016, mediamente la spesa sostenuta risulta del 156% più alta del budget iniziale. Questo è il risultato degli eccessi di ottimismo nel partecipare alle aste: il processo di partecipazione alla gara competitiva è già alterato da interessi particolari (imprese edili, comitati sportivi, albergatori) e dall’egocentrismo dei politici che verrebbe soddisfatto dalla realizzazione dei Giochi.

Le previsioni sono così lontane dalla realtà poiché realizzate o commissionate proprio da chi più spera nella realizzazione dell’evento, e che pertanto ha tutto l’interesse a distorcere le stime, sottostimando i costi e sovrastimando i benefici economici.

Il fatto che, nell’analisi costi-benefici, il rapporto fra spese previste e spese sostenute sia falsato è estremamente grave, perché porta a un’allocazione inefficiente delle risorse.

La letteratura economica è concorde nel considerare scarsi o nulli i benefici economici associati alla costruzione di stadi e arene sportive. Inoltre le Olimpiadi lasciano spesso alle città ospitanti infrastrutture sportive specializzate che trovano scarso utilizzo dopo i Giochi, imponendo quindi alti costi di mantenimento.

In un mondo di scarsità di risorse, l’organizzazione delle Olimpiadi non è un volano: anzi, sottrae risorse a investimenti necessari per realizzare progetti con stime del tutto sballate, frutto di pianificazioni concitate ed avvenimenti mediatici studiati ad hoc.

La tesi che le Olimpiadi siano un’occasione per dimostrare la solidità economica del Paese ospitante e perciò fungano da maggior attrattiva per il commercio internazionale è solo parzialmente vera.

Diversi studi rilevano sì un vantaggio economico, traducibile in un aumento dei consumi e delle esportazioni dei Paesi ospitanti fin oltre il 20%, ma ciò non significa che vi sia un così diretto rapporto di causa-effetto.

In altri termini non sono le Olimpiadi, da sole, a determinare i suddetti benefici economici, ma è la crescita di un paese, la sua prospettiva di futura solidità economica che rende un paese più propenso a candidarsi.

Altro argomento comune a sostegno dell’organizzazione delle Olimpiadi è l’aumento di posti di lavoro nel lungo periodo. Ma anche per questa posizione, gli studi economici suggeriscono di non lasciarci andare a facili entusiasmi. E’ emerso da tale ricerca che, a parte durante lo svolgimento dei Giochi, un effetto positivo a lungo termine sui tassi di occupazione non si è evidenziato, né negli anni di preparazione, né in quelli successivi.

Pro Olimpiade è infine l’assunto secondo il quale l’evento costituirebbe una importante vetrina per il turismo internazionale. Ciò è vero in alcuni casi, come accaduto a Barcellona, balzata dopo i Giochi del 1992 dal 13° (anno 1990) al 5° posto (anno 2010) nella classifica delle destinazioni europee, ma non è vero sempre. Se infatti consideriamo le dichiarazioni di Londra e Pechino, durante i mesi delle Olimpiadi queste due città avrebbero registrato un minor afflusso di turisti rispetto agli anni precedenti. Pertanto, dalle Olimpiadi potrebbero trarre beneficio quelle mete che hanno attrazioni turistiche ma sono sottovalutate nel panorama internazionale. Ma non è certo questa la realtà di Roma.

Roma non è Barcellona, e la sua fama non è un problema. Roma non ha bisogno di pubblicità, semmai ha bisogno di infrastrutture, sicurezza, strutture ricettive, trasporti efficienti ed una eccellente gestione del patrimonio storico-culturale. Ricordo solo che ci sono opere rimaste incompiute o inutilizzate sia dai mondiali di Nuoto del 2009 che addirittura dai mondiali di calcio Italia 90 (per esempio, la stazione FS Farneto, costruita proprio in occasione dei Mondiali per collegare la stazione Tiburtina con lo stadio Olimpico. L’opera costò 15 miliardi di lire, la stazione venne usata per 8 giorni e definitivamente chiusa nell’Ottobre del 1990].

Ma lasciando da una parte la materia economica e cercando di dare il mio contributo personale, affronterei il problema da un punto di vista etico:

Vorrei citare qualche frase del barone Pierre de Coubertin (che i ragazzi di oggi non sanno neppure chi sia):

  • L’importante non è vincere ma partecipare.
  • Per ogni individuo, lo sport è una possibile fonte di miglioramento interiore.
  • Nel Giuramento olimpico, chiedo solo una cosa: la lealtà sportiva.
  • Lo sport deve essere patrimonio di tutti gli uomini e di tutte le classi sociali.
  • Possano la gioia e i buoni intenti amichevoli regnare, così che la Torcia Olimpica possa perseguire la sua via attraverso le ere, aumentando le comprensioni amichevoli tra le nazioni, per il bene di una umanità sempre più entusiasta, più coraggiosa e più pura.
  • Lo sport è parte del patrimonio di ogni uomo e di ogni donna, e la sua assenza non potrà mai essere compensata.
  • Lo Spirito Olimpico cerca di creare uno stile di vita basato sulla gioia dello sforzo, sul valore educativo del buon esempio e il rispetto universale dei principi etici fondamentali.
  • Il giorno in cui uno sportivo smetterà di pensare prima di tutto alla felicità che il suo sforzo gli procura e all’ebbrezza dell’equilibrio tra potenza e fisico che ne deriva, il giorno in cui lascerà che le considerazioni sulla vanità o sull’interesse prendano il sopravvento, in quel giorno i suoi ideali moriranno.
  • Lo spirito olimpico non è né la proprietà di una razza, né di una era.
  • I Giochi Olimpici sono stati creati per l’esaltazione e la glorificazione del singolo atleta.

E quindi semplicemente io penso che un Paese debba meritarsi l’assegnazione della più importante manifestazione sportiva se fosse basata sui principi di onestà, correttezza, pace e fraternità Non credo che uno dei Paesi più corrotti d’Europa, il Paese in cui la giustizia funziona meno e con il più alto numero di leggi, il Paese della criminalità organizzata più forte, dove la scuola e la sanità sono allo sbando possa dire di meritarsi i giochi olimpici. Il Brasile (per motivi simili a quelli italiani) o la Cina (per continue violazioni dei diritti umani) credo non possano essere considerati degli esempi virtuosi in questo senso.

Forse l’assegnazione dei giochi olimpici dovrebbe avvenire anche sulla base di un punteggio internazionalmente riconosciuto; nessuno avrebbe dato al Sudafrica le olimpiadi nel periodo dell’apartheid e, risalendo all’inizio del secolo scorso, furono svolte nel 1936 in Germania ma assegnate nel 1931 (il Comitato Olimpico Internazionale aggiudicò a Berlino l’organizzazione dei Giochi Olimpici Estivi del 1936 per dare un segnale chiaro del ritorno della Germania nella comunità internazionale, dopo il suo isolamento nel periodo successivo alla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale. Enciclopedia dell’olocausto).

Ma c’è sempre un rovescio della medaglia che si contrappone a questo baccano, a questi deliri di onnipotenza, a queste trappole mediatiche ed economiche.

Mi sono commosso vedendo in televisione i Giochi paraolimpici. Personalmente ho molto da imparare da questi atleti in termini di coraggio, determinazione, ispirazione e uguaglianza.

Non sono disabili; loro stessi hanno chiesto di non essere chiamati così, e non si tratta di un capriccio. La logica è perfetta. Provate voi a bendarvi gli occhi e giocare a pallone, tanto per fare un esempio. Insomma, non correranno i 100 metri come Usain Bolt, ma sono comunque molto più “abili” della gran parte della popolazione mondiale. Soprattutto mentalmente.

E non chiamiamola carrozzina; sedia a rotelle è preferibile, sedia a ruote sarebbe ancora più preciso.

Negli anni 90 ho prestato servizio come volontario in una associazione italiana per la lotta alla distrofia muscolare, ero uno degli accompagnatori di un ragazzo che dovette lasciarci per il sopravvento della malattia degenerativa. Stare per un anno accanto a lui è stata una delle esperienze di vita che mi hanno maggiormente arricchito e fatto crescere.