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Cdp nel capitale di Tim, Bernabè ‘Se si investe sull’azienda vuol dire che è attraente’

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Il vicepresidente di Telecom, Franco Bernabè, ha commentato la decisione di Cassa Depositi e Prestiti di entrare nel capitale di Tim con una quota massima del 5%: 'Ben vengano tutti gli investitori interessati, perché testimoniano la grande attrattività dell'azienda. Cdp deciderà ciò che vuole, ma contano i voti, vediamo che succederà in assemblea'.

È il giorno dopo il via libera del CdA di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) al suo ingresso nel capitale di Tim con quota massima del 5%. Il primo a commentare apertamente l’entrata dello Stato nella compagine azionaria della telco è stato Franco Bernabè vicepresidente di Telecom: “Cdp deciderà ciò che vuole, ma contano i voti, vediamo che succederà in assemblea”, ha detto l’ex Ad per due volte a capo di Telecom, parlando con i giornalisti a margine dei lavori del workshop Ambrosetti a Cernobbio, in risposta a chi gli chiedeva se l’ingresso di Cdp in Tim possa essere considerato una mossa ostile.
“Ben vengano tutti gli investitori interessati, perché testimoniano la grande attrattività dell’azienda“, ha aggiunto Bernabè ricalcando quanto fatto trapelare nelle scorse ore proprio da Vivendi. “Telecom è la compagnia che ha la maggiore profittabilità in Europa il che significa che, nonostante tutti i problemi che ha avuto, è solida e di grande attrattività per gli investitori”, ha concluso.
Bernabè è presente nella lista dei francesi di Vivendi per il rinnovo del consiglio di amministrazione nell’Assemblea degli azionisti ordinari convocata per il 4 maggio prossimo. I dieci candidati sono: Amos Genish, Arnaud Roy de Puyfontaine, Franco Bernabè, Marella Moretti (indipendente), Frédéric Crepin, Michele Valensise (indipendente), Giuseppina Capaldo (indipendente), Anna Jones (indipendente), Camilla Antonini (indipendente), Stephane Roussel.

Dunque a breve Tim conterà tre azionisti “significativi”: Vivendi, che giusto ieri ha dichiarato una quota complessiva pari al 23,94% circa del capitale con diritto di voto; Cdp, che procederà con la progressiva acquisizione di una partecipazione finanziaria di minoranza non superiore al 5% delle azioni ordinarie, e il fondo Elliott. Quest’ultimo possiede una partecipazione del 5,740%, oltre che una serie di piani per “migliorare la governance e la performance societaria”, come spiegato a metà marzo dal fondo guidato da Paul Singer. Secondo Elliott l’assise di inizio maggio non sarà necessaria se all’Assemblea del 24 aprile sarà approvata la propria proposta di reintegro del Board.

Nel frattempo la mossa di Cdp è stata ben accolta dai sindacati: secondo i quali “il via libera del consiglio di Cassa Depositi Prestiti all’ingresso diretto nel capitale di Telecom, con un ruolo di garante dell’interesse nazionale e dell’integrità dell’impresa, rappresenta una prima buona notizia e potrebbe costituire il presupposto per una ritrovata stabilità della governance di Tim con risorse adeguate a sviluppare i processi digitali e di innovazione”.

I segretari generali di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil, Fabrizio Solari, Vito Vitale e Salvo Ugliarolo, specificano che “il male oscuro che ha pesantemente condizionato lo sviluppo di Tim a partire dalla sua privatizzazione  è sostanzialmente riconducibile alla pesantezza del debito” in uno scenario “straordinariamente preoccupante con l’emersione di migliaia di esuberi potenziali e una battaglia legale per il controllo di un’azienda”.

Ad oggi ancora in molti si chiedono il motivo per il quale Cassa Depositi e Prestiti abbia deciso di entrare in Tim? Il suo ruolo istituzionale suggerisce la possibilità che possa assumere il ruolo di “ago della bilancia” in un settore che la stessa Cassa ha definito “strategico” e di “primario interesse per il Paese”, come realizzare il progetto di separazione legale e poi cessione parziale della rete che potrebbe favorire infine una fusione con Open Fiber, la società paritetica di Enel e Cassa Depositi e Prestiti che sta realizzando l’infrastruttura in fibra ottica – FTTH, Fiber-To-The Home – nelle principali 271 aree urbane del Paese. A quel punto verrebbe creata un’unica grande società di gestione della rete. Questo percorso avrebbe il merito di far emergere il valore dell’asset rete, che secondo gli analisti, varrebbe circa 16 miliardi di euro.

L’unica immediata certezza per il gruppo guidato da Claudio Costamagna è l’acquisto delle azioni che deve avvenire entro il 13 aprile se Cdp vorrà votare sulla revoca dei consiglieri di Vivendi nell’assemblea del 24 aprile.