Frequenze tv

Canone frequenze tv, soluzione entro settembre?

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Polemica sui nuovi canoni per pagare l’uso delle frequenze televisive. L’Agcom intenderebbe accelerare e approvare il 30 settembre la delibera congelata lo scorso agosto.

Il 30 settembre dovrebbe riunirsi il Consiglio dell’Agcom probabilmente per adottare la delibera che riguarda il nuovo sistema per definire i contributi annuali per l’utilizzo delle frequenze del digitale terrestre. Ancora nulla di certo però visto che l’ordine del giorno non è stato diramato.

Indiscrezioni riportate da alcuni organi di stampa, secondo le quali l’Autorità sarebbe pronta a far passare lo schema congelato lo scorso agosto, hanno tuttavia fatto scoppiare la polemica. Secondo il presidente della Commissione di Vigilanza, Roberto Fico, quei criteri danneggerebbero le tv locali e andrebbero a vantaggio dei grossi broadcaster, tramutandosi in un boomerang anche per le casse dello Stato che vedrebbe ridurre fortemente le entrate calcolate con il precedente sistema. Si parla di almeno 40 milioni di euro in meno.

Da Mediaset ribatte subito il presidente Fedele Confalonieri, spiegando che non c’è alcun regalo per il suo gruppo ma che è la legge a prevedere che a contribuire non siano più gli editori in base al fatturato ma gli operatori di rete.

L’Italia sull’argomento ha già avuto un avvertimento da parte della Ue secondo la quale il nuovo sistema non risulterebbe proporzionato e potrebbe creare barriere all’accesso di nuovi entranti.

Il Parlamento chiede chiarezza e Michele Meta, (Pd), presidente della Commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera dei deputati, ha già annunciato di avere appena convocato l’Authority per un’audizione da tenersi in tempi rapidi.

“La riforma dei canoni per le frequenze televisive – ha detto Meta – chiede massima trasparenza: l’Agcom dissipi ogni dubbio sui criteri contenuti nella sua proposta e venga urgentemente a riferire in Parlamento”.

A sciogliere il nodo potrebbe essere il decreto al quale sta lavorando da tempo il Sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, che, oltre a prevedere la riforma della Rai e dei sistemi di sostegno alle Tv locali, potrebbe ricomprendere anche la definizione dei canoni per l’uso delle frequenze.

Il decreto dovrebbe essere pronto per i primi di ottobre ed entrare in vigore, una volta ottenuta la firma da Palazzo Chigi, per fine anno. Se così fosse, lo schema dell’Agcom potrebbe non avere più alcun valore perché a far fede sarebbero le nuove disposizioni normative.

In attesa di saperne di più, resta che al momento tutto fa pensare che l’Agcom sia intenzionata ad accelerare dopo aver deciso ad agosto di tenere tutto in sospeso e non procedere all’approvazione della delibera, alla luce dell’intendimento del Governo di adottare modifiche al vigente assetto legislativo della materia nel prossimo mese di settembre. Gli operatori sentiti da Key4biz al momento non sanno ancora nulla d’ufficiale.

In base allo schema presentato ad agosto, relatore il Commissario Antonio Martusciello, il canone ricade sulle società che gestiscono le torri di trasmissione, come RaiWay o Ei Towers per intenderci, e sarà pagato in base alla quantità e alla qualità delle frequenze.

A farne le spese sarebbero quindi soprattutto le tv locali che in consultazione hanno già presentato 50 pagine di osservazioni per far capire le loro ragioni.

Roberto Fico (Vigilanza): ’40 mln di euro in meno per l’Erario’

 

“Con il nuovo modello – ha sottolineato il presidente della Vigilanza Roberto Fico – nel 2014, lo Stato andrebbe a raccogliere quasi 40 milioni di euro in meno rispetto al 2013. In sette anni si perderebbero circa 130 milioni. Nello stesso periodo, invece, la Rai potrebbe risparmiare più di 100 milioni e Mediaset almeno 80”.  

Fedele Confalonieri (Mediaset): ‘Nessun regalo’

Da Mediaset, Confalonieri nega che ci sia un regalo per la sua azienda con il prossimo pagamento del canone per l’uso delle frequenze: “E’ una panzana. È la legge che prevede che devono pagare gli operatori di rete”, ha spiegato Confalonieri a un convegno sui dieci anni della Legge Gasparri.

Contributi calcolati sulla popolazione servita

In base allo schema di delibera dell’Autorità, frutto del combinato disposto dell’articolo 3-quinquies, comma 4, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44) e dall’art. 35 del Codice delle comunicazioni elettroniche, il contributo grava sugli operatori di rete, e non più sulle emittenti, come avveniva nel passato.

Il canone non è, quindi, più legato al fatturato ma alla copertura e alla popolazione servita. A questo poi vanno aggiunti i diritti amministrativi. Il nuovo sistema integra parti del Codice delle comunicazioni elettroniche, che è però tagliato sugli operatori tlc piuttosto che sulle emittenti radiofoniche e televisive, e apparirebbe squilibrato a danno delle piccole emittenti.

Con passaggio al digitale terrestre c’è stata infatti una separazione funzionale tra operatori di rete e fornitori di contenuti, ma le tv locali sono ancora integrate nel 99,9% dei casi e hanno quindi solo una separazione contabile ma la società è sempre la stessa.

Nello schema l’Agcom prevede contributi calcolati sul numero di abitanti serviti questo comporta cifre non proporzionate, secondo le emittenti locali, alla solidità societaria.

Prendiamo il caso di un’emittente che serve la Lombardia e un pezzo del Veneto e che quindi supera 10 milioni di abitati, con il nuovo schema pagherebbe venti volte in più rispetto a prima con la differenza però che non c’è stato un aumento di fatturato anzi magari è anche diminuito vista la crisi. Da qui la forte protesta delle tv locali.

I diritti amministrativi poi, che prima erano ricompresi nel canone calcolato sull’1% del fatturato con il limite massimo per le tv locali di 17.776 euro, saranno fissi per i tre scaglioni previsti nel Codice delle comunicazioni elettroniche: servizio fino a 200 mila abitanti; servizio fino a 10 milioni di abitanti; servizio nazionale.

La maggior parte delle tv locali hanno servono una popolazione tra 200 mila abitanti e 10 milioni e andrebbero a pagare, solo per i diritti amministrativi, tre volte il massimo che pagavano prima.