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Assistenti vocali in oltre 20 milioni di automobili nel 2023, privacy sotto assedio

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Google, Amazon, Apple, tutti hanno offerto sul mercato i propri smart speaker e il pubblico ne è entusiasta, ma siamo consapevoli dei rischi che corre la nostra privacy? Dopo i problemi già riscontrati in casa, sul livello di protezione dei nostri dati personali, ora la questione si sposta in auto.

La prima grande novità tecnologica sul mercato, all’inizio del 2019, sono stati sicuramente gli smart speaker. Gli altoparlanti dal design accattivante hanno letteralmente conquistato le nostre case, si legge in un recente studio Strategy Analytics, e alla fine dell’anno passato hanno raggiunto e superato le 86 milioni di unità vendute in tutto il mondo.

È il fenomeno crescente delle smart home, delle case a contenuto tecnologico progressivo, in cui gli smart speaker di Amazon e Google, solo per citare due tra i brand più popolari, hanno portato la voce degli assistenti virtuali.

La stessa voce che presto ascolteremo anche all’interno delle nostre automobili. Un nuovo studio ABI Research ha stimato in più di 20 milioni gli smart speaker che saranno montati di serie, entro il 2023, sulle nuove vetture connesse in rete e in molti casi a guida autonoma.
Le case automobilistiche hanno capito che un numero crescente di consumatori può vedere un valore aggiunto nell’essere in grado di controllare in auto i propri dispositivi smart e nel poter sfruttare l’ecosistema Apple, Amazon o Google mentre si è al volante“, ha spiegato in una nota il ricercatore Shiv Patel, area Smart Mobility & Automotive di ABI Research.
Allo stesso tempo, queste aziende tecnologiche guardano al mercato automobilistico come a un nuovo business verticale per espandere il proprio brand e ottenere dati preziosi dai consumatori“.

Google ha già preso accordi con Volvo e Nissan Renault per un’integrazione avanzata dei propri servizi Maps, Play Store, Google Auto e Google Assistant in-vehicle.
Amazon, invece, ha reso nota una partnership con Audi per affiancare Alexa all’Audi Assistant già entro la fine dell’anno in corso.

Extract valuable consumer data”, questo dunque l’obiettivo delle grandi aziende del settore, che ovviamente continuano a vedere nei dati personali una miniera d’oro che durerà per anni.
I fornitori di queste tecnologie hanno bisogno di conoscere le esigenze dell’utilizzatore, le preferenze, i gusti, gli interessi, le preoccupazioni, le priorità.
E noi utenti rispondiamo perfettamente a questa necessità del mercato, tanto è vero che come ha riportato uno studio di Capgemini, la maggioranza degli utilizzatori (71%) si è dichiarata molto soddisfatta dell’esperienza personale con i nuovi assistenti virtuali, addirittura il 52% degli intervistati si è detto più soddisfatto dell’interazione quotidiana con smartphone, computer e tablet.
I marchi che sono in grado di capitalizzare l’enorme appetito dei consumatori nei confronti degli assistenti vocali – si legge nel commento ai dati della ricerca Capgemini – non solo costruiscono relazioni più strette con i loro clienti, ma creano importanti opportunità di crescita per se stessi”.

I dati, la grande miniera su cui puntano tutti per aumentare profitti e quote di mercato.
Un fatto questo che mette in allarme tutte le autorità a garanzia della nostra privacy, perché se è vero che i nostri dati personali sono fondamentali per il mercato, lo sono ancora di più per noi, che dovremmo imparare a proteggerli meglio.
Esiste un lato oscuro degli assistenti vocali, già noto dai tempi dei primi utilizzi su smartphone e tablet: ci ascoltano e noi non ce ne rendiamo conto.

Tutte le aziende garantiscono la massima riservatezza dei dati raccolti, l’anonimizzazione delle registrazioni e la privacy degli utilizzatori, ma la realtà è ben diversa.
Sono già stati segnalati casi in cui le registrazioni delle conversazioni tra utenti e assistenti vocali sono state spedite “per errore” via mail ad utenti sconosciuti, o relativi a comportamenti inquietanti degli stessi dispositivi, che si attivavano senza richiesta o fornivano informazioni su discussioni effettuate in casa, in momenti in cui non sarebbero dovuti essere in ascolto attivo.
Su tutti vale il caso recente dei lavoratori pagati per ascoltare 1.000 clip audio al giorno, in un turno di nove ore, relative agli ordini che milioni di persone danno vocalmente al proprio smart speaker Alexa, l’assistente vocale di Amazon.