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Antonio Preto (Agcom): ‘Il futuro della televisione, l’Ultra HD è il messaggio’

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Il commissario Agcom Antonio Preto all’HD Forum Italia: ‘Nel nostro paese si contano già oggi oltre 4 milioni di smart TV, di cui circa la metà connesse’

Voglio, prima di tutto, ringraziare l’associazione HD Forum Italia per avermi invitato anche quest’anno a partecipare a questo importantissimo evento. È un’occasione unica di confronto con gli esperti del settore, per condividere trend e punti di vista sulle sfide che il mercato, e quindi il regolatore, sono chiamati ad affrontare.

Il titolo della giornata esprime esattamente quello che penso. L’innovazione tecnologica deve essere al servizio della conoscenza e dell’informazione. E l’obiettivo del regolatore è proprio quello di garantire una sana ed efficace dinamica competitiva nel mercato, che favorisca l’innovazione.

D’altronde è il quadro normativo europeo a volerlo. Ed anche un recente studio del Centre for European Policy Studies ha dimostrato che la regolazione può essere uno stimolo molto efficace per l’innovazione.

Soprattutto in questa fase di transizione tecnologica, con la convergenza che sta ridisegnando i mercati. Con l’avvento di device sempre più avanzati, che trasformano il consumo di contenuti, verso modalità always connected e multi-screen.

Da un lato, assistiamo alla crescita costante della domanda di video, soprattutto su smartphone e tablet: già oggi, secondo Ericsson, il 45% del traffico su banda larga mobile è destinato ad applicazioni video. Dall’altro lato, l’accesso a questi contenuti avviene, sempre di più, tramite una pluralità di device. Sempre Ericsson stima che passiamo in media 15 ore alla settimana davanti alla tv, 7 ore a guardare video su pc e 6 ore a guardare video su smartphone.

Alla tradizionale tv broadcast si aggiungono, di conseguenza, nuovi servizi, come la web TV, i portali alla YouTube e i siti di video-on-demand. Grazie all’innovazione tecnologica, vecchi e nuovi media possono coesistere e creare sinergie, ampliando le possibilità di fruizione e distribuzione dei contenuti.

L’indagine conoscitiva sulla TV 2.0, da poco realizzata da Agcom, contribuisce bene a chiarire gli aspetti tecnici, economici e regolamentari della TV del futuro. In Italia si contano già oggi oltre 4 milioni di smart TV, di cui circa la metà connesse. Secondo le stime, saranno 20 milioni nel 2018 (di cui 16 connesse).

Attraverso l’interlocuzione con gli stakeholder, l’Indagine ha messo in luce prospettive di sviluppo e possibili criticità legate all’avvento della connected TV, su cui Agcom intende vigilare ed eventualmente intervenire.

Sistemi chiusi ed interoperabilità

 

Dall’indagine è emerso il rischio che si affermino sul mercato sistemi chiusi, quei walled garden che destano serie preoccupazioni nel regolatore. Penso alle interfacce proprietarie di alcune smart TV che consentono ai loro produttori di decidere a monte i contenuti da veicolare e l’ordine di priorità con cui presentarli. La scelta del modello chiuso rende tali operatori dei gatekeeper in grado di condizionare l’offerta audiovisiva.

Il rischio è tanto maggiore considerando che la smart TV può essere vista come una combinazione di più two-sided platform, le piattaforme a due versanti studiate dal Premio Nobel Jean Tirole. Infatti, la smart TV può condizionare l’accesso degli spettatori ai programmi, ma anche la concorrenza tra fornitori di contenuti e i rapporti tra servizi media e gli advertiser.

L’interazione tra i versanti di una two-sided platform ha un valore economico, come dimostra Tirole, ma in questo caso ha anche un valore sociale e culturale: perché la TV resta il medium di comunicazione e informazione più diffuso. Allora i walled garden non solo creano limiti alla concorrenza e all’innovazione. Sono anche una minaccia per il pluralismo e la libertà di informazione.

Guide elettroniche e Smart TV

Lo stesso discorso vale per le electronic programme guide, su cui l’Autorità ha da pochi mesi concluso un Tavolo Tecnico con gli operatori. È emerso che nella smart TV le tradizionali guide elettroniche vengono sostituite da nuove forme di navigazione e presentazione dei programmi. Penso a menu personalizzati, che si basano sulla profilazione dell’utente. O, ancora peggio, ad una classificazione decisa a monte dal produttore dell’apparecchio televisivo, sulla base di accordi commerciali con broadcaster e aggregatori di contenuti.

Nel primo caso, dobbiamo garantire la massima trasparenza e la protezione dei dati personali, affinché la profilazione degli utenti non sia in contrasto con la normativa sulla privacy. Dall’altro lato, dobbiamo prevenire accordi collusivi e garantire che i contenuti, soprattutto quelli di interesse generale, siano sempre accessibili e facili da guardare. Sarà allora necessaria una regolazione dell’accesso ai contenuti, con un intervento ex ante per garantire parità di accesso e di visibilità sulle nuove piattaforme.

Soluzioni tecniche innovative sono una opportunità per gli utenti. Penso, in particolare, all’introduzione di una EPG centralizzata e condivisa tra tutti i fornitori di servizi media. Penso allo sviluppo di standard televisivi, che forniscano una piattaforma aperta alle varie tecnologie, sia broadband che broadcast, sia terreste che satellitare, come l’HbbTV, di cui si è ampiamente discusso in questi due giorni.

Questa è la direzione da prendere. L’industria deve indirizzarsi verso sistemi aperti e standard condivisi, che garantiscano parità di accesso alle piattaforme e libertà di accesso ai contenuti.

L’Autorità intende fare la sua parte in questo processo. Con la delibera 482/14/CONS, di cui sono stato relatore, abbiamo istituito un Osservatorio Permanente sull’innovazione dei servizi di media audiovisivi, che sarà operativo a breve. È un’iniziativa in cui crediamo molto, per continuare quella good practice di interazione e confronto con gli stakeholder. In un settore altamente dinamico, ad alto tasso di innovazione, la regolazione deve essere necessariamente un processo aperto, partecipato, che parte dal basso.

Almeno due sono le priorità su cui si dovrà concentrare l’Osservatorio:

  • La diffusione dei nuovi standard per la TV HD
  • La migrazione da DVB-T1 a DVB-T2

 

Verso l’alta definizione

 

Lo sapete: il futuro della televisione è in alta definizione. Il 4K (e, in prospettiva, l’8K) promette di rivoluzionare la nostra customer experience. Grazie a questi nuovi standard di risoluzione dell’immagine, si aprono per il mercato nuove opportunità di sviluppo e differenziazione dell’offerta.

Come garantire una capacità trasmissiva e di banda adeguata? Dobbiamo principalmente considerare, a questo riguardo, che lo spettro destinato al broadcasting andrà a ridursi nel tempo.

Da un lato, le nuove tecnologie, come il DVB-T2, e le nuove codifiche di compressione, come l’HEVC, sono fondamentali per una gestione efficiente dello spettro e per fornire un’offerta video ad alta definizione.

Dall’altro, le nuove reti fisse a banda ultra-larga si candidano a convogliare parte dei contenuti video di alta qualità: già oggi Netflix e iTunes consentono di scaricare o vedere in streaming film in alta definizione.

Parto dalle reti NGA. Si è da poco conclusa la consultazione sulla nostra analisi dei mercati, che definirà i prezzi e le regole per il mercato dell’accesso fino al 2017. Agcom si sta impegnando a sostenere gli investimenti privati, favorendo una concorrenza basata sulle infrastrutture.

Con risultati, finora, incoraggianti. A dicembre 2014 le linee retail NGA erano quasi 800.000: oltre il doppio rispetto all’anno precedente. 100.000 linee in più al mese. Stimiamo che circa il 30% della popolazione abbia già accesso ad almeno una rete FTTC: anche questa percentuale è raddoppiata negli ultimi due anni.

All’intervento di Agcom si aggiunge il piano del Governo, che ha promesso 6 miliardi di fondi per portare la fibra fino alle case, anche nelle aree rurali. Il Mise e Infratel hanno censito oltre 90.000 aree su cui intervenire: sia per portare ex novo la fibra (nelle aree bianche o grigie); sia per l’upgrade delle reti FTTC già realizzate (nelle aree nere).

Non vi sfuggirà la complessità del Piano. A mio avviso, sarebbe maggiormente efficace definire un progetto più semplice, concentrandosi sulle aree a fallimento di mercato, dove il digital divide è totale e l’intervento pubblico è indispensabile. Mi piace ricordare, a questo proposito, una frase che John Maynard Keynes, non certo contrario all’intervento pubblico nelle infrastrutture, amava ripetere: “[l]a cosa importante per un Governo non è di fare ciò che gli individui già fanno e di farle un po’ meglio o un po’ peggio, ma di fare quelle cose che al momento non vengono fatte per niente”.

Nelle aree a fallimento di mercato, in particolare in quelle più remote, un ruolo fondamentale lo può giocare il satellite per fornire connettività e backhauling. A costi certamente inferiori a quelli della fibra. Sulla falsariga della piattaforma satellitare TivùSat che ha completato la copertura del DTT nelle aree dove questo non poteva arrivarci o arrivarci con enormi difficoltà.

Nelle aree nere, invece, è molto probabile che il mercato provvederà spontaneamente all’upgrade delle reti, come dimostrano i recenti piani di investimento in FTTH da parte di Telecom Italia. Lasciamo che siano i privati ad investire, come ci indica con chiarezza l’Unione Europea.

Nel frattempo, comunque, Agcom si sta già impegnando ad attuare le competenze che gli Orientamenti sugli Aiuti di Stato le assegnano: monitoraggio dei progetti a finanziamento pubblico, definizione dei prezzi e delle condizioni di accesso alle reti sovvenzionate, verifica dell’effettiva copertura delle reti.

In questo modo, la domanda di banda ultra-larga dovrebbe finalmente spiccare il volo. Il recente accordo tra Sky e Telecom Italia è il segnale che l’era del quadruple play è iniziata anche in Italia.

Sarà l’offerta legale di contenuti video online la killer application per la diffusione della banda ultra-larga. Ma anche per i fornitori di servizi media si aprono inediti scenari di sviluppo: a nuovi servizi e nuove modalità di interazione corrispondono nuove opportunità di massimizzare e monetizzare l’audience.

Le reti di nuova generazione restano, però, complementari al digitale terrestre. In un paese dove il 39% dei cittadini non ha mai avuto accesso a Internet è improbabile che la broadband TV possa sostituire la broadcast TV nel breve periodo. E chi regola il mercato non può certo ignorare il ruolo centrale che il DTT riveste ancora per l’economia, la società e la cultura italiana.

Verso un nuovo switch off

 

Per questo, dobbiamo continuare a investire e scommettere anche sul digitale terrestre che, grazie all’innovazione tecnologica, ha ancora grandi potenzialità. Il DBV-T2 consentirà di ottimizzare l’utilizzo dello spettro e di trasmettere immagini e video in 4K tramite l’etere.

A fine 2014, il Governo, su segnalazione di Agcom, ha rivisto i termini per la commercializzazione di televisori e decoder in tecnologia DVB-T2. L’obbligo è stato posticipato di 18 mesi, al 1° luglio 2016.

Il nuovo termine consentirà ai produttori di integrare nei loro device la più recente ed efficiente codifica HEVC, rispetto alla codifica MPEG-4, prevista in precedenza. In questo modo, si risparmiano alle imprese e ai consumatori i costi di una doppia transizione, puntando da subito sulla tecnologia più efficiente ed innovativa.

Non solo: il Decreto Milleproroghe ha previsto che Agcom, attraverso un apposito regolamento, indichi le codifiche da considerarsi tecnologicamente superate. A breve avvieremo il relativo procedimento, consultando naturalmente gli stakeholder.

Il nostro obiettivo è quello di guidare e sostenere il mercato verso le nuove tecnologie, senza forzature e senza salti nel buio. Lo switch off dall’analogico al digitale terrestre è stato un grande successo per il mercato, proprio grazie al coordinamento tra imprese e istituzioni. Questa sinergia virtuosa deve continuare per favorire il nuovo passaggio al DVB-T2, anche in vista di un prossimo refarming della banda 700.

L’apertura all’uso co-primario dei 700 Mhz sarà oggetto della World Radiocommunication Conference (WRC) dell’ITU di novembre. Alcuni Paesi, come Francia e Germania, hanno però deciso di anticipare il refarming, anche rispetto alle tempistiche del Rapporto Lamy, che era riuscito a trovare un compromesso ragionevole ed efficiente tra tutti gli stakeholder coinvolti, con il famoso 2020 +/- 2.

L’Italia dovrà necessariamente coordinarsi con i paesi confinanti, per evitare una replica dell’affaire interferenze. Certo, un uso efficiente dello spettro impone costantemente una pianificazione attenta, razionale, che parte dall’esistente per guardare al futuro, cercando di contemperare gli interessi di tutte le parti.

Deve sempre valere il principio use or loose it: lo spettro deve essere assegnato a chi lo usa effettivamente. Anche tenendo in considerazione il fatto che lo spettro è una risorsa essenziale per promuovere la diversità culturale e linguistica e il pluralismo dei media, tramite i servizi di radio e telediffusione.

Dobbiamo essere realisti. Il digitale terrestre è ancora di gran lunga la principale piattaforma in Italia, quasi un servizio universale. Perciò la co-primarietà della banda 700 dovrà seguire un approccio progressivo, che vada di pari passo con la diffusione delle reti di nuova generazione e la convergenza tra broadcaster e telco.

Certamente questa piattaforma, che interessa i più qualificati operatori del settore, continuerà ad essere centrale nella innovazione tecnologica e nella fornitura di servizi di altissima qualità, come già ora sta facendo.

Verso la convergenza delle regole

 

La convergenza porta i broadcaster a confrontarsi direttamente, sullo stesso schermo o monitor, con nuovi competitors, i cosiddetti e ormai noti over-the-top. Si aprono ulteriori scenari competitivi, dai risultati imprevedibili. Una dinamica competitiva efficiente presuppone, però, che i diversi player giochino ad armi pari. Cioè, siano sottoposti alle stesse regole. La “storia” della liberalizzazione, nel settore delle comunicazioni elettroniche, ce lo ha insegnato. E lì si è partiti dapprima con la ricerca di regole ravvicinate, divenute progressivamente uniformi, per giungere infine, con le ultime modifiche legislative europee, a concentrarsi maggiormente sulle procedure e sulla fase applicativa.

Nel settore che qui ci occupa sussistono, di converso, ancora numerose asimmetrie, le quali rischiano di creare squilibri in danno, in primis, dello stesso consumatore. Ciò avviene in quanto non esiste un level playing field – delle tutele e dei diritti – tra mondo broadcast e mondo online.

Conseguentemente, alla convergenza dei mezzi trasmissivi dovrà accompagnarsi una convergenza delle regole. Altrimenti si crea un indebito vantaggio all’impresa non regolata. E, a cascata, un indebito svantaggio al consumatore finale, che vede negate le sue tutele a seconda del mezzo di comunicazione utilizzato.

Anche la Commissione europea sembra muoversi in questa direzione. Nell’ambito della nuova Strategia sul Digital Single Market, che il Vicepresidente Andrus Ansip ha annunciato per il 6 maggio, dovrebbe trovare spazio anche una revisione della regolazione sui servizi audiovisivi.

A partire dal concetto di responsabilità editoriale, su cui si basa la definizione di fornitore di servizi media. Un concetto che, a mio avviso va rivisto ed esteso a tutti i soggetti che esercitano una qualsiasi forma di controllo sul contenuto, anche ex post. Anche tramite un algoritmo.

Va da sé che deve essere assicurata la parità di trattamento tra nuovi e vecchi fornitori di contenuti. I diritti dei minori e il diritto di replica devono essere garantiti su tutti i media. Gli obblighi di trasparenza e qualità devono essere estesi anche agli OTT, così come le limitazioni in materia di pubblicità e gli obblighi di programmazione e investimento in opere europee. È una questione di equità. Una regolazione smart, che potrebbe essere definita una light-touch regulation, non è mai un onere per le imprese, né un freno all’innovazione. Al contrario: può diventare fattore di competitività.

Le novità della nuova Strategia sul Digital Single Market, attesa tra due settimane, non si fermeranno qui. La comunicazione degli addebiti inviata a Google dalla Commissione europea lascia supporre che ci saranno misure ad hoc per le piattaforme online, in materia di trasparenza e protezione dei dati personali.

Verranno rafforzate anche le forme di tutela, per contrastare la pirateria e la diffusione online di contenuti illegali. Il Vicepresidente Ansip, in questo senso, ha dichiarato guerra anche al geoblocking. Sulla questione, il Commissario Günther Oettinger ha aggiunto un punto a mio avviso essenziale: “We have to preserve and foster our European culture”. La creazione di un digital single market non deve condurre ad un’omologazione forzata. La forza dell’Europa sta nella sua identità e nel pluralismo che difende in tutti i settori oggetto del proprio intervento. È una conseguenza del rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in base alla quale “L‘Unione contribuisce al mantenimento e allo sviluppo di questi valori comuni, nel rispetto della diversità delle culture”, come si legge significativamente nel suo Preambolo, mentre l’art. 22 prescrive espressamente il rispetto della “diversità culturale, religiosa e linguistica”. Non solo: possiamo (recte: dobbiamo) aggiungere anche i princìpi delle Nazioni Unite. Qui basti pensare alla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, che all’art. 22 garantisce a ogni individuo la realizzazione dei “diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità” e all’art. 27 assicura il “diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici”. Parole e disposizioni davvero lungimiranti, che sembrano scritte per i giorni odierni, rivelando così la loro grande attualità e la necessità, da parte nostra, di farle vivere nelle norme nazionali e nella loro applicazione quotidiana.

L’Europa ha dimostrato, in più occasioni, di tutelare fortemente diritti fondamentali connessi al patrimonio culturale. Anche in questo caso, dobbiamo essere all’altezza delle sfide che siamo chiamati ad affrontare. Noi italiani siamo diversi dagli inglesi. Nella ricerca di una unione proficua e pacifica, manteniamo diversità nell’unità, pluralismo e differenziazione nel percorso comune che ci accingiamo a compiere.

Una visione olistica del mercato

Come ho già detto, stiamo vivendo una grande mutazione di mercato. È un’evoluzione tecnologica, che non comporta necessariamente l’estinzione delle vecchie specie: con la convergenza si aprono, piuttosto, nuove prospettive di sviluppo, in cui vecchi e nuovi media possono coesistere e integrarsi.

Siamo abituati a ragionare “a compartimenti stagni”, ma la convergenza ci spinge ad ampliare lo sguardo, verso una visione olistica del mercato. L’innovazione è il fil rouge, che abbatte i confini tra i settori e spinge la competizione su nuovi terreni.

In questa realtà, così dinamica, la regolazione non è mai un freno, un ostacolo. Al contrario, essa garantisce equità e stabilità al mercato. Pone le condizioni per una competizione leale e aperta a tutti. Guida il mercato verso un’innovazione costruttiva e non distruttiva.

Le regole servono e devono essere certe ma flessibili, forward-looking ma realistiche. In modo da tenere sempre conto delle specificità e delle potenzialità. In modo da garantire l’evoluzione del mercato e prevenire la sua estinzione.

Regole che costruiremo assieme, con il vostro contributo, vale a dire con il contributo degli operatori e degli esperti e degli utenti, secondo un nuovo approccio multi-stakeholder, in un dialogo aperto e costruttivo. Hd Forum, d’altronde, rappresenta il punto d’incontro, di sintesi del mercato. E per un regolatore è ideale trovarsi difronte a soluzioni tecnicamente solide che nel contempo trovano vasto consenso come quelle che voi sapete offrire.

Grazie per la vostra attenzione!