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Abolizione canone Rai, rebus nel M5S. Paxia accelera, Airola frena (e si dimette), Di Maio rimanda a settembre

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Silenzio assordante sui fronti Rai e Agcom. In esclusiva il parere legale richiesto dal Consigliere di Amministrazione Rai Riccardo Laganà, e sottoposto al Cda del 25 luglio 2019, sull’incostituzionalità della “riforma Renzi” del 2015.

A distanza di giorni rispetto a quel che “Key4biz” scriveva venerdì scorso 26 luglio (vedi “La proposta di legge del M5S per l’abolizione del canone Rai resta misteriosa, ma… viene rimandata a settembre”), si registra un incredibile assordante silenzio, sia sul fronte della proposta del Movimento 5 Stelle di abolizione del canone Rai, sia rispetto alla elezione dei nuovi componenti dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Nelle rassegne stampa dei quotidiani di sabato e domenica e lunedì, nessuna traccia del “dietro-front” annunciato nel pomeriggio di giovedì 25 luglio dallo stesso Vice Presidente del Consiglio Luigi Di Maio, rispetto alla proposta presentata il 15 luglio dalla sua collega Maria Laura Paxia (rilanciata in Senato il 17 luglio da Gianluigi Paragone), e nessuna traccia di convocazione di Camera e Senato per eleggere la nuova Agcom.

Le priorità del Governo sono certamente altre, la crisi è sempre in agguato – è evidente – ma resta sconcertante questo silenzio totale. 

Venerdì scorso “Key4biz” ha pubblicato una intervista esclusiva alla deputata Maria Laura Paxia (vedi “Maria Laura Paxia (M5S): ‘Vi spiego perché voglio abolire il canone Rai” su “Key4biz” del 26 luglio 2019), nella quale l’esponente grillina, in modo deciso e netto, rivendicava la propria proposta, di abolizione totale del canone, ed auspicava con decisione una calendarizzazione immediata dell’iter. Eppure lo stesso Capo Politico (questa è la definizione formale) del suo stesso Movimento Luigi Di Maio ha dichiarato a chiare lettere che se riparlerà a settembre. La Paxia “rimandata” a settembre, senza essere informata dal “maestro”?!

Contraddizioni interne del Movimento 5 Stelle?! Senza ombra di dubbio. E quel che è sicuro è che nel “Contratto di Governo” (stipulato il 18 maggio 2018) non v’è alcuna traccia dell’abolizione del canone Rai, ma soltanto il solito auspicio a “liberare” Viale Mazzini dalla politica. 

Trattasi quindi accelerazioni soggettive, nel grande policentrismo del Movimento 5 Stelle, in assenza di una strategia organica.

Di Maio rimanda a settembre

Le annunciate dimissioni del senatore grillino Alberto Airola (storicamente uno dei più attivi in Commissione Vigilanza Rai) sembra abbiano frenato la accelerazione voluta da Paxia. Airola ha dichiarato, a chiare lettere: “Togliere il canone vuol dire privatizzarla. Se non servo, vado via”. Rispetto ai colleghi del M5S, ha sostenuto: “non hanno parlato con noi, ma solo con Di Maio: il canone è una delle tasse più invise, quindi l’abolizione porta consenso… Un’operazione del genere spalancherebbe le porte a una privatizzazione”.

E peraltro il Vice Presidente della Vigilanza, Primo Di Nicola (M5S) ha invece proposto una politica mediale che andrebbe in direzione opposta: Rai finanziata soltanto da canone (così in un’intervista del 18 luglio all’AdnKronos, firmata da Veronica Marino, all’indomani dell’annuncio della proposta Paxia): “una tv pubblica interamente finanziata dal canone a mio avviso si pone anche la necessità di intervenire per regolare il mercato pubblicitario, introducendo tetti stringenti per evitare posizioni dominanti e soprattutto uno scenario nel quale siano solo un paio di soggetti ad accaparrarsi tutto”.

Luigi Di Maio ha precisato, a latere della riunione tenutasi a Via Veneto giovedì 25: “stiamo trovando la soluzione tecnicamente migliore…”, così di fatto smentendo Paxia. “Al dossier stanno lavorando Gianluigi Paragone, Mirella Liuzzi e Maria Laura Paxia, tutti membri della Commissione di Vigilanza. L’idea è arrivare a settembre con un provvedimento che riveda la disciplina complessiva del mercato pubblicitario e, eliminando i tetti per il servizio pubblico, consenta di ridurre e poi abolire il canone”.

Grande è la confusione sotto il cielo

Insomma, grande è la confusione sotto il cielo, ma la situazione non è esattamente eccellente, per parafrasare il Grande Timoniere.

Nel pomeriggio di venerdì 26, la Consigliera di Amministrazione Rita Borioni (“in quota” Pd) ha manifestato il proprio duro dissenso rispetto alla ipotesi di abolizione del canone, argomentando con cura le proprie tesi, in una intervista all’agenzia stampa AdnKronos. Si domanda giustamente Borioni: “non pagare più il canone e affidarsi solo alla pubblicità significa diventare, in quanto spettatori, il prodotto che le televisioni vendono agli inserzionisti; diventiamo contatti, solo e unicamente consumatori. Non più cittadini ma solo consumatori. Se è gratis, la merce sei tu!”. La Consigliera prospetta le conseguenze della cancellazione del canone: dal rafforzamento degli “ott” alle ricadute sul perimetro di offerta e occupazionale; dall’inevitabile overdose di interruzioni pubblicitarie all’addio forzato a Rai Cultura, Rai Storia e ai canali di Rai Sport; dal ritorno degli spot su Rai Yoyo (che furono eliminati per precisa volontà dell’ex Direttore Generale Antonio Campo Dall’Orto), all’incremento di spot su Rai Gulp; dalla sforbiciata al numero di canali e di sedi regionali ed estere al rischio di compromettere il cammino verso la digitalizzazione e la promozione delle Teche… Etcetera. Lunga ed approfondita intervista, curiosamente non ripresa l’indomani da nessun quotidiano.

E venerdì sera, interviene il deputato Francesco Boccia, Responsabile Economia e Società Digitale del Partito Democratico: “Di Maio abolisce il canone Rai? Con una panzana al giorno, cerca di non sprofondare nella melma politica da lui stesso creata nell’alleanza con la Lega. Oggi la creatività amministrativa di Maio riguarda l’abolizione del canone Rai. Mai una parola sul futuro, sulla rivoluzione digitale e sulla trasformazione del concetto di servizio pubblico. Prima hanno occupato la Rai con gli amici di Spadafora e Buffagni, e poi con la propaganda tipica di chi è disperato provano a raccontare agli italiani che non pagheranno più il canone”. Nessuna traccia, ovvero ricaduta, sui quotidiani di sabato.

Si ricordi che – come abbiamo già segnalato – giovedì 25 si è discusso, nel Cda Rai, del tema canone, ma da altra prospettiva, peraltro non meno delicata. Il Consigliere eletto dai dipendenti Riccardo Laganà ha portato in consiglio di amministrazione un parere legale, stilato dal professor Luigi Principato dello Studio di avvocati Principato & Porraro, del foro di Roma e Firenze, sull’incostituzionalità della “riforma Renzi” del 2015, che destina una parte delle risorse recuperate dall’evasione, grazie all’introduzione del canone in bolletta, ad altre finalità. Laganà ha chiesto ai colleghi di presentare ricorso contro quel provvedimento, per evitare di essere citati per danno erariale. Una linea che ha trovato perfettamente d’accordo l’Usigrai, ma non ha raccolto grande consenso in consiglio.

La “questione Rai” sembra comunque non appassionare granché nemmeno i giornalisti, e questo non è un buon segno, perché sintomatico di una sorta di assuefazione passiva alla deriva in atto.

Agcom frenetica a fine mandato, ma soltanto Fornaro (Leu) e Capitanio (Lega) sollecitano l’elezione del nuovo Consiglio

Altresì dicasi per Agcom, il cui mandato è scaduto venerdì 26. 

Silenzio totale anche da parte dei partiti di opposizione, con la sola presa di posizione di Federico Fornaro, Capo Gruppo di Liberi e Uguali (Leu) a Montecitorio, che giovedì 25 dichiarava, inascoltato: “sulle nomine delle Autorità per la privacy e per le comunicazioni sembra tutto ancora avvolto da una fitta nebbia, nonostante i quasi 40 gradi all’ombra. Sono ancora da nominare, infatti, i 4 componenti dell’Agenzia per le Comunicazioni e il suo presidente indicato dal Presidente del Consiglio d’intesa con ministro e sentite le commissioni, insieme agli altri 4 dell’Autorità per la Privacy”. Quasi “vox clamans in deserto”: “siamo preoccupati per la vacatio dei vertici di due importanti Authority che hanno a che fare con temi sensibili come privacy dei cittadini e diritto ad un’informazione completa e plurale. Auspichiamo che si calendarizzi al più presto questo passaggio, chiarendo, però, sin da subito, i criteri di scelta per le suddette nomine. Non vorremmo, infatti, che Lega e M5S preferissero logiche meramente spartitorie, unicamente animate dal criterio della fedeltà rispetto a quello della capacità e autonomia. Sono enti troppo importanti per farli rientrare in un semplice schema di occupazione di caselle di potere”, concludeva Fornaro. 

Ed in effetti soltanto un altro esponente politico, il deputato della Lega Massimiliano Capitanio, Segretario della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, è intervenuto (mercoledì 24), indirettamente, criticando l’eventuale multa a Rai per violazione del pluralismo ed invocando: “si volti pagina verso un’autorità indipendente”. Spiega: “l’apertura di una mera istruttoria su una presunta violazione del pluralismo in Rai è solo l’ultimo atto politico dell’Agcom, che negli ultimi mesi ha tradito la sua natura istituzionale di autorità indipendente e di garanzia per declinare un ruolo di parte”. E precisa: “in ogni caso, non è stata comminata alcuna sanzione, ma è stata solo aperta un’istruttoria che la nuova autorità, sicuramente più equilibrata, potrà decidere se portare avanti e valutare con pacatezza”. Ed infine accusa: “colpisce il fatto grave che, alla vigilia dell’ultima seduta dell’Agcom (martedì 23 luglio, n.d.r.), un deputato del Pd abbia annunciato sanzioni, come se l’autorità agisse sotto sua dettatura. Sappiamo che in tal senso si è speso un commissario in cerca di riconferma da parte del Pd. Ma almeno su questo, la maggioranza dei commissari non ha ceduto. L’ingerenza nei contenuti giornalistici sarebbe stata una palese violazione dell’articolo 21 della Costituzione. Ora si volti pagina, verso un’autorità indipendente”. Il parlamentare Michele Anzaldi è stato il primo ad intervenire non appena approvato il provvedimento Agcom sul pluralismo Rai, (la richiesta di sanzione è stata formalizzata dal commissario Mario Morcellini), ma in senso discretamente critico; e comunque, effettivamente, due giorni prima (il 21 luglio), sul proprio profilo Fb, il parlamentare renziano aveva scritto “Agcom sta per comminare una super sanzione” a Rai, ma rilanciava semplicemente uno scoop del 20 luglio dei brillanti colleghi Aldo Fontanarosa e Leandro Palestini sul loro blog “Antenne”, sul sito web del quotidiano “la Repubblica”. Il professor Mario Morcellini è l’unico dei consiglieri decaduti che può essere rieletto (in quanto entrato in Agcom a seguito della scomparsa del commissario Antonio Preto; e quindi in corso di mandato, insediatosi nel marzo 2017), ed è giustappunto il relatore del provvedimento sull’“assenza di contradditorio adeguato” in alcune trasmissioni informative Rai.

Quelle di Fornaro (Leu) e Capitanio (Lega) sono in assoluto le uniche due prese di posizione rispetto alle elezioni Agcom “imminenti”, se si analizzano i flussi di tutte le agenzie di stampa dell’ultima settimana (come abbiamo effettuato con spirito da ricercatori minuziosi): può sembrare incredibile, ma è così.

Dossier Rai a settembre ed elezioni Agcom in consessi esoterici (partitocratici)?!

Il “dossier” canone Rai quindi rimandato a settembre, e delle nomine delle due importanti Autorità (Comunicazione e Privacy)?! 

Il dossier esiste, ma è secretato. Alcuni nomi circolano, ma si tratta di pratiche al limite dell’esoterico (partitocratico). 

Alcuni ritengono che “ormai” se ne riparlerà a fine agosto ovvero metà settembre, anche perché queste “nomine” (ma non sono libere “elezioni” delle due Camere?!) rientrano nel calderone di un complicato “pacchetto” spartitorio sul quale lo scontro tra i leghisti ed i grillini è quotidiano, dalla Sace alla Soginpassando per Invitalia. Anche in questo caso, dossier misteriosi, nelle felpate stanze del potere. 

E soltanto il sempre acuto Giovanni Valentini, su “il Fatto Quotidiano” di sabato 27 (nella sua rubrica “Il Sabato del Villaggio”, emigrata da “la Repubblica” a “il Fatto”), evidenziava i curiosi conati di attivismo di Agcom, in un articolo dal titolo assai duro: “Il fallimento di una Authority senza autorità”. Le accuse sono pesanti: “è quanto meno singolare che l’Agcom, proprio alla vigilia della scadenza del suo mandato, abbia lanciato il 23 luglio scorso una bomba atomica come la minaccia di una maxi-multa da 72 milioni di euro alla Rai, pari al 3 per cento del suo fatturato, per violazione del pluralismo informativo”. E bollava con un sarcastico “lacrime di coccodrillo” l’iniziativa, ovvero il “tardivo intervento sul degrado del sistema televisivo e in particolare del servizio pubblico”. A proposito della “multa” ipotizzata, merita essere riportata la tesi del deputato piddino Michele Anzaldi, Segretario della Commissione di Vigilanza Rai, noto per le sue sortite spesso polemiche: “Vergogna!”, ha scritto su twitter, “l’eventuale super multa Agcom da 72 milioni contro la Rai sarebbe un danno economico pesantissimo, causato da chi usa il servizio pubblico per fare propaganda politica. Quella cifra equivale al costo per un anno di quasi 3mila precari a 25mila euro annui. Vergogna!”.

Intanto, in un ulteriore attivismo improvviso ed un po’ surreale, proprio Agcom, nei suoi ultimi giorni, continua a sfornare provvedimenti il cui destino non potrà seguire: una sorta di tardiva “eredità” affidata ai consiglieri che verranno. È di oggi (lunedì 29 luglio) la notizia dell’avvio di un procedimento finalizzato all’individuazione e all’analisi del mercato rilevante, all’accertamento di posizioni dominanti o comunque lesive del pluralismo nel settore della “pubblicità online”. La notizia è stata pubblicizzata oggi, ma il procedimento reca la data del 18 luglio.

Dinamiche surreali, confusione a gogò, deriva conservatrice.

Clicca qui, per leggere il parere “pro veritate” dello Studio di Avvocati Principato & Porraro, richiesto dal Consigliere di Amministrazione Rai Riccardo Laganà, e sottoposto al Cda del 25 luglio 2019, in materia di canone radiotelevisivo.