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L’Agcom presenta il regolamento contro l’hate speech. Ma senza sanzioni non è efficace

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Un contributo fondamentale è derivato dalla stretta collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti, che ha portato alla definizione di una procedura di confronto permanente sulle iniziative dell’Autorità. Ma pesa l'assenza di un sistema sanzionatorio forte.

Questa mattina, presso la sede centrale del Consiglio Nazionale dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti (Cnog), in via Sommacampagna a Roma, è stato presentato il regolamento contro i “discorsi d’odio” che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) ha approvato il 15 maggio scorso, dandone notizia una settimana dopo (“Key4biz” ne ha scritto nell’edizione del 24 maggio: vedi “Agcom approva il regolamento contro l’hate speech”).

Notoriamente, il “target” principale dei discorsi d’odio è rappresentato dalle donne, dagli omosessuali, dai meridionali, dagli immigrati, dai rom, dalle persone di colore, dai musulmani, dai disabili… Insomma, dai “diversi” di ogni tipo, così bollati secondo una visione conformista e banale di una (pseudo) “normalità”.

L’iniziativa è stata intitolata “Ci sono tante parole, scegliamo quelle giuste”, che è anche una sorta di “headline” di una campagna istituzionale promossa da Agcom d’intesa con Rai, che sta per essere messa in onda.

Sono intervenuti il Commissario dell’Agcom Antonio Nicita (cui si deve il merito dell’aver avviato questo percorso di sensibilizzazione), il Presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti Carlo Verna, le due avvocatesse che hanno seguito la gestazione del provvedimento ovvero Benedetta Liberatore (Direttrice Contenuti Audiovisivi di Agcom) e Alessandra Torchia (consulente dell’Ordine dei Giornalisti), cui si è aggiunto Roberto Natale, Direttore della struttura “Responsabilità Sociale” della Rai.

Presentazione tecnicamente accurata e culturalmente di alto livello. Iniziativa senza dubbio commendevole, ma… come dire?! Ci sono dei “ma”, e non marginali.

Saletta piena per metà, ovvero vuota per metà (ovvero una trentina di presenze), e già questo non è un bel segnale: forse sintomo del sostanziale disinteresse della categoria nei confronti di un novello testo che interviene in qualche modo nell’attività giornalistica, cercando di stimolare maggiore equilibrio informativo e di ridurre le derive estremistiche?

La questione è in verità importante, strategica, delicata, anche per le “ricadute” politiche che determina: i risultati delle elezioni europee sono anche il frutto di un “sistema informativo” italiano assolutamente squilibrato, non ben regolamentato, nel quale chi tende a fare la voce grossa riesce ad ottenere una eco impressionante, senza che nessuno lo bacchetti.

Il sistema di “pesi e contrappesi” che dovrebbe caratterizzare una evoluta democrazia moderna, in Italia, nel sistema mediale (ed in verità non soltanto in questo settore), non funziona: l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni non dispone normativamente di adeguata strumentazione sanzionatoria, e peraltro nel corso del tempo non si è caratterizzata per un attivismo particolarmente significativo in materia. Ne deriva che il “sistema” è sostanzialmente autoregolato, ed i livelli di coscienza non appaiono granché evoluti.

Agcom ha sviluppato un percorso avviato oltre due anni fa, che riteniamo sia stato stimolato anche da una serie di “segnali” emersi dalla società civile, dall’accademia, dai ricercatori, da alcuni attivisti e giornalisti: nel febbraio del 2016, pubblicavamo su queste colonne un articolo dal titolo emblematico, “Impotenti di fronte all’‘hate speech’ nel Far West italiano del web” (vedi “Key4biz” del 22 marzo 2016). Tornavamo a distanza di qualche mese sulla questione: vedi “Hate speech e Fake news, Laura Boldrini attacca i social: ‘Da che parte sta Facebook?’” (vedi “Key4biz” del 9 febbraio 2017) e “Fake News e Hate speech, Italia vs Facebook: la partita è soltanto all’inizio” (su “Key4biz” del 15 febbraio 2017).

Quale che sia l’agenteprovocatore, è un dato di fatto che Agcom ha iniziato ad intervenire, soprattutto per iniziativa del Commissario Antonio Nicita: un primo atto è stata l’approvazione della Delibera n. 424/16/Cons, intitolata “Atto di indirizzo sul rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione nei programmi di informazione, approfondimento e intrattenimento”, nel settembre 2016; a distanza di un anno, la Delibera 442/17, che recava “Raccomandazione sulla corretta rappresentazione dell’immagine della donna nei programmi di informazione e di intrattenimento”; nel febbraio del 2018, la Delibera n. 46/18, dal titolo “Richiamo al rispetto della dignità umana e alla prevenzione all’incitamento all’odio”.

Insomma, va dato atto che l’attenzione di Agcom su queste tematiche senza dubbio c’è stata ed anche un qualche correlato tentativo di monitoraggio (anche se, su questo fronte, emergono perplessità metodologiche).

Il problema resta: quali ricadute effettive determina concretamente questo “attenzionamento” istituzionale?!

E, da ultimo, il 15 maggio scorso, il Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, relatore Antonio Nicita, ha approvato le “Disposizioni in materia di rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione e di contrasto all’hatespeech”.

Il Regolamento, contenuto nella Delibera n. 157/19/Cons, è stato preceduto da una consultazione pubblica alla quale hanno partecipato “alcune associazioni  di  settore, rappresentanti della società civile e delle imprese” (così si leggeva nel comunicato stampa diramato da Agcom il 23 maggio). Oggi è emerso che sono pervenuti comunque soltanto 10 contributi e si sono concretizzate soltanto 5 audizioni (Confindustria Radio Televisioni, AerAnti-Corallo, due broadcaster televisivi, un’altra associazione): un po’ poco, ci sembra, e forse la consultazione doveva essere pubblicizzata meglio… Ed il Consiglio Nazionale degli Utenti (Cnu), organo ausiliare dell’Agcom, assonnato ma ancora vegeto, è stato coinvolto?!

Un contributo fondamentale è derivato dalla stretta collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti, che ha portato alla definizione di una procedura di confronto permanente sulle iniziative dell’Autorità.

Attraverso il Regolamento, l’Autorità intende fornire un quadro più definito di norme finalizzate al contrasto alle espressioni d’odio, secondo i principi delle normative italiane ed europee in materia, volte a contrastare forme di discriminazione basate sulla costruzione e diffusione di stereotipi, nonché di generalizzazioni decontestualizzate di singoli episodi di cronaca, che ledono la dignità di singole persone.

L’iniziativa di questa mattina ha consentito di comprendere meglio la genesi del Regolamento e la sua portata.

In sintesi, si tratta di un intervento apprezzabile, ma nella sostanza debole, assai debole.

La debolezza è determinata da due fattori: è stato adottato un approccio “soft”, per cui l’attivazione di un processo sanzionatorio appare una sorta di “ultima ratio”, in caso di reiterazione del comportamento inappropriato, e comunque esisterebbe una sorta di “tetto” – previsto dalla legge istitutiva di Agcom – di 260.000 euro come “multa”, in quest’area di intervento (anche se questa interpretazione del “limite” è controversa); inoltre, come ha ribadito il Commissario Antonio Nicita, l’Autorità non ha proprio “titoli” (normativi) per intervenire sul web, limitazione grave alla luce del potere che hanno assunto negli ultimi anni i “social media”.

Questi due fattori determinano un concreto rischio di evanescenza dell’intervento Agcom: questo Regolamento corre il rischio di lasciare il tempo che trova, come spesso avviene, in Italia, con le carte deontologiche, i codici di autoregolazione, le buone pratiche (basti pensare al “Manifesto di Assisi” – vedi “Key4biz” del 1° ottobre 2018 – o al progetto “Parole O_Stili”)… alte dichiarazioni di principi teorici che vengono per lo più ignorate nella realtà dei fatti.

L’Italia è un Paese mediterraneo, elastico, flessibile, sostanzialmente tollerante: se la norma non prevede un apparato sanzionatorio forte, essa è quasi sicuramente destinata a restare spesso lettera morta.

Si tollera e si comprende, si chiude un occhio e talvolta due: questo è, purtroppo, lo spirito italico prevalente.

Quindi, ben venga l’intervento di Agcom.

Quindi, ben venga il sostegno dell’Ordine dei Giornalisti.

Ma si può fare di più. Si deve fare di più.

È un tasto, questo, sul quale martelliamo spesso, su queste colonne: si deve evitare di illudersi di curare patologie gravi con i pannicelli caldi. È questo sembra essere l’ennesimo caso.

Secondo il Regolamento approvato, il livello delle violazioni prevede un approccio differenziato a seconda dei casi: da una parte, le violazioni episodiche saranno sanzionate con una segnalazione sul sito di Agcom, dall’altra le sanzioni saranno più dure nel momento in cui le irregolarità dovessero essere reiterate e sistematiche…

Dopo la contestazione di Agcom (una lettera), gli editori ovvero le piattaforme avranno 15 giorni per le proprie controdeduzioni, mentre le violazioni che interesseranno i singoli professionisti – come nel caso dei giornalisti – vedranno un coinvolgimento dell’Ordine. Seguirà un “atto di diffida”. Infine, se la diffida dell’authority non ottenesse la adeguata reazione autocritica, e se quindi le condotte irregolari dovessero proseguire, i media coinvolti potrebbero rischiare sanzioni fino ad un massimo di 260mila euro (500 milioni delle vecchie lire italiche), dato che le sanzioni estreme, ovvero multe che possono arrivare anche fino al 5 % del fatturato dell’editore, sono previste – nella normativa vigente – soltanto in caso di superamento dei limiti di concentrazione. E si tratta in verità di tutt’altra questione (e controversa anch’essa), sebbene anche testate autorevoli come “la Repubblica” hanno inteso – erroneamente – che la sanzione del 3-5 % del fatturato potesse essere attivata anche per questo tipo di trasgressioni. Il che – come ci ha chiarito la stessa Agcom – non può invece avvenire per questa tipologia di trasgressione.

Questo, sulla carta (ed in funzione dell’interpretazione delle norme): in effetti, è tutta da valutare la procedura e l’entità della sanzione: in caso di reiterazione della trasgressione si applica il tetto di 258mila euro più volte, o la sanzione è 1 soltanto per più trasgressioni?! Alla luce dell’esperienza storica Agcom, si ha comunque ragione di prevedere che le sanzioni più pesanti non andranno a concretizzarsi (almeno con l’attuale Consiglio)…

Benedetta Liberatore ha segnalato come – durante la preliminare analisi comparativa internazionale che ha portato all’approvazione del Regolamento – sia emerso il caso eclatante della sanzione da ben 3 milioni di euro che l’organismo omologo dell’Agcom in Francia, Conseil Supérieur de l’Audiovisuel (Csa), ha comminato nel luglio del 2017 all’editore televisivo francese Canal+ per il comportamento inappropriato, esplicitamente omofobico (attraverso stereotipi discriminanti), adottato durante la trasmissione “Touche pas à mon poste: Radio Baba” del canale C8. Multa di 3 milioni di euro, a fronte di un fatturato di 135 milioni di euro. In Italia, interventi tosti come questo… ce li sogniamo!

La questione, come hanno convenuto sia il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti sia il Commissario Agcom, è in verità anzitutto “culturale”, e riguarda la deontologia degli operatori dell’informazione e la sensibilità degli editori.

E riguarda anche la cittadinanza tutta, ovvero il sacrosanto dovere di rispettare i diritti di ogni minoranza (quale che sia la sua “tipologia”): in questa prospettiva, Agcom ha convinto Rai ad avviare una campagna istituzionale di sensibilizzazione. Il Direttore della Comunicazione Agcom Davide Nebiolo ha ideato uno spot (diretto da Francesco A. Sindici) giustappunto intitolato “Ci sono tante parole, scegliamo quelle giuste”, pubblicato il 23 maggio sul canale YouTube di Agcom (con risultati finora non proprio esaltanti, se è vero che, ad oggi, ha avuto appena 1.000 visualizzazioni), nell’economia della campagna “#stophatespeech”.

Lo spot verrà presto messo in onda da Viale Mazzini, come ha annunciato Roberto Natale, Direttore della “Responsabilità Sociale” della Rai. Natale ha ricordato come lo scenario mediatico italiano sia disastroso, per quanto riguarda la distanza enorme tra realtà fattuale e sua rappresentazione mediale, come evidenziato – e denunciato – da una pluralità di fonti, varie istituzioni (il Consiglio d’Europa in primis) e non pochi istituti di ricerca. Il dirigente Rai ha sostenuto, con amara ironia: “l’iniziativa Agcom-Ordine ci aiuta a tematizzare una questione sulla quale l’Italia sta fischiettando… se esistesse un sistema sanzionatorio a livello europeo – come per i deficit dei bilanci dello Stato – l’Italia sarebbe già oggetto di censura”…

Purtroppo, l’iniziativa Agcom (regolamento e spot) non ha beneficiato della opportuna ricaduta mediatica: l’attenzione della stampa è stata modesta ed ha purtroppo prevalso la critica da parte di chi contesta all’Autorità questo ruolo di “regolatore”. Giorgio Gandola, sul quotidiano “La Verità”, ha addirittura scritto, il 26 maggio, “Cari onorevoli, fermate l’editto illiberale partorito dall’Agcom”, sostenendo che esso limita la libertà di parola ed impone un “pensiero unico”. Oggettivamente, questo Regolamento Agcom non rappresenta certo un “bavaglio” autoritario e repressivo, bensì soltanto un timido tentativo di contrastare le frequenti “ondate d’odio” che caratterizzano alcuni media italiani e soprattutto il web.

Chi redige queste noterelle è quindi intervenuto per domandare al Commisario Nicita ed al Presidente Verna se ritenessero il Regolamento un intervento dotato dell’adeguata strumentazione, a fronte della non evidente incisività e forza del suo apparato sanzionatorio. La domanda è stata colta nella sua positiva provocatorietà: entrambi hanno sostenuto che effettivamente si tratta di una criticità oggettiva, di una sorta di punto debole dell’intervento, che riguarda sia l’Autorità sia l’Ordine, e che va ben oltre anche il caso specifico.

D’altronde, se lo scenario normativo attuale non consente di fare di più, cosa potrebbero inventarsi questi due organismi?! Il cittadino vigile potrebbe sostenere che l’intensità e la frequenza dei loro interventi – anche soltanto a livello di “moral suasion” – potrebbero e forse dovrebbero essere maggiori e migliori.

Tra gli altri, è intervenuto anche Michele Mezza che ha manifestato, a margine dell’iniziativa, il proprio dissenso, radicale, rispetto all’atteggiamento di Agcom, che ritiene debole, passivo, acquiescente, in polemica con la posizione di Antonio Nicita. Secondo Mezza, Agcom è ben titolata ad intervenire anche nell’ambito del web, interpretando correttamente la Direttiva Europea “Smav” (che l’Italia deve recepire entro il settembre 2020) e considerando le piattaforme a mo’ di “editori”. Il Commissario Antonio Nicita ha ricordato che, nelle more della trasposizione della nuova Direttiva europea sui “Servizi Media Audiovisivi” (Smav), che estende alle piattaforme di condivisione di “video online” alcuni obblighi in materia, l’Autorità promuove l’elaborazione di “codici di condotta” di “co-regolazione” con le piattaforme… Nicita ci ha precisato che “per la legge italiana ex europea, le piattaforme non sono (ancora) purtroppo editori”. Agcom, quindi, di più non può fare (o almeno non ritiene di poter o dover fare), a normativa vigente, se non richiedere al Parlamento di estendere i propri poteri di intervento, ovvero la propria “giurisdizione” (come peraltro ha già fatto, forse tardivamente e labilmente).

Peraltro, come è noto, l’attuale consiliatura dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni volge al termine (luglio), e quindi tra qualche settimana il nuovo Presidente ed i nuovi Consiglieri dovranno decidere se – anche su queste materie – alzare il tiro o mantenere un approccio morbido… se essere tendenzialmente inerziali (e quindi conservatori) o piuttosto innovativi (e quindi “rivoluzionari”, per come si sviluppa la storia del nostro Paese)…

Insomma, se adottare un approccio morbido alla “volemose bene” alias “soft law”, o se radicalizzare le contraddizioni in atto ed i conflitti attuali e latenti dell’economia politica del sistema mediale italico, e quindi intervenire dialetticamente in modo duro e deciso per correggere le (non poche) storture del sistema.

Non resta infine da auspicare, una volta ancora, che il sistema di elezione (cooptazione) dei membri dell’Agcom si caratterizzi per la massima trasparenza e soprattutto per un dibattito pubblico tra i candidati, che possa ridurre l’abituale pratica di influenza partitocratica “dall’alto”.

Sarebbe effettivamente opportuno che Camera e Senato (si ricorda che i 4 Commissari sono eletti per metà dalla Camera e per metà dal Senato, mentre il Presidente è proposto direttamente dal Presidente del Consiglio, d’intesa col Ministro dello Sviluppo Economico), scelgano sulla base di dichiarazioni di intenti dei candidati, di una sorta di piattaforma programmatica di ognuno di loro. E che la società civile sappia prima “cosa” vuole andare a fare “chi” aspira ad entrare nel Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Senza doverlo comprendere, nel bene e nel male, “ex post”, come avvenuto finora.

Clicca qui, per la relazione “Il contrasto dell’hate speech. Il regolamento Agcom”, curata da Benedetta Liberatore, Direttrice Contenuti Audiovisivi di Agcom, in occasione dell’incontro “Ci sono tante parole, scegliamo quelle giuste”, promosso dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e dall’Ordine Nazionale dei Giornali, Roma, 5 giugno 2019.

Clicca qui, per lo spot istituzionale realizzato da Agcom “Stop Hate Speech”, sul canale YouTube dell’Agcom, pubblicato il 23 maggio 2019, nell’economia della campagna la campagna “#stophatespeech”, e di imminente trasmissione sui canali della Rai.